Non ho mai creduto alla favola della Sardegna povera e abbandonata dallo Stato e dall’Europa a morire di inedia nel Mediterraneo senza fondi di sostentamento. La nostra regione ha avuto un mare di opportunità e risorse economiche per poter badare con relativa autonomia al proprio sviluppo. Il problema è che, per un motivo o per l’altro, non ne è stata quasi mai capace. Prendiamo i fondi UE: dobbiamo ancora spendere in due anni la bellezza di circa 800 milioni di euro della vecchia programmazione (in cinque anni ne sono stati spesi in media solo 240 all’anno) e nel prossimo settennio ci saranno a disposizione quasi altri cinque miliardi. Ma quando mai i nostri politici riusciranno a spenderli se il sistema della programmazione dei fondi Ue è stato sempre farraginoso e i soldi si disperdono sistematicamente in mille rivoli? Se invece dei progetti più validi si preferisce spesso finanziare quelli, magari meno utili, di chi ha più entrature nella burocrazia o nella politica?
Progettare i fondi UE
Nel corso degli anni la nostra classe dirigente ha dimostrato di non riuscire a programmare in modo efficace l’utilizzo di queste risorse per creare sviluppo e posti di lavoro stabili. Quanti posti di lavoro creati in questi quindici anni di uso dei fondi strutturali sono ancora stabilmente in piedi e non sono stati spazzati appena finiti i fondi del progetto? Quali progetti comunitari hanno creato sviluppo vero e non sono andati soltanto ad arricchire i portafogli di chi li ha organizzati?
Ora la nuova Giunta regionale sembra intenzionata a ripristinare la sana abitudine di programmare l’uso delle risorse comunitarie con l’ausilio delle parti sociali. Benissimo.
Eppure le Linee guida per la spesa di questa enorme mole di danaro, tradotte in una delibera dello scorso maggio, sembrano celare la solita atavica incapacità di usare i fondi UE per incidere realmente nella realtà economica della Sardegna: probabilmente ancora non si è capito bene che è necessario concentrarsi in pochi specifici obiettivi da monitorare nel tempo in modo da non disperdere in mille rivoli queste importanti risorse.
La Sardegna ha bisogno di posti di lavoro. La disoccupazione sta crescendo, non solo quella giovanile ma anche quella dei quaranta-cinquantenni estromessi dal lavoro che hanno una famiglia da mantenere e un mutuo per pagare la casa. La gente non ne può più. Le piccole aziende, quelle che rappresentano l’ossatura dell’economia della nostra regione, stanno chiudendo.
Per questo i vertici della Cna sarda hanno ha scritto una lettera aperta al presidente della Regione sarda Francesco Pigliaru e all’assessore alla Programmazione economica Raffaele Paci proponendo che almeno un terzo dei fondi UE che la Sardegna avrà a disposizione nei prossimi anni fino al 2020 (stiamo parlando complessivamente di circa un miliardo e mezzo di euro) venga utilizzato per un grande Piano per il lavoro che crei occupazione ecosostenibile e rilanci il settore edile, ormai in crisi da quasi otto anni, senza però invadere il nostro territorio con altre colate di cemento.
Come?
- Attraverso il riuso, la riqualificazione e l’efficientamento energetico dell’immenso patrimonio esistente in Sardegna (quanti edifici pubblici e privati sono in condizioni di decadenza)
- Attraverso la rigenerazione dei centri urbani, il risanamento idrogeologico, il ripristino, la bonifica ambientale e la messa in sicurezza del territorio che, come abbiamo avuto modo di constatare dalle tragedie di questi ultimi anni, ha un terribile bisogno di essere messo in sicurezza.
Riuso e riqualificazione di ciò che già esiste senza consumare altro territorio: una ricetta che la Cna sarda sta portando avanti da anni, spesso inascoltata perché, si sa, un programma di questo tipo sostiene più le piccole aziende che le grandi lobby dei costruttori.
Bè, secondo me questo sarebbe un modo concreto, utile e intelligente di usare i fondi UE. Ce ne saranno senz’altro anche altri, altrettanto intelligenti. Parliamone, confrontiamoci.
L’importante è che la politica usi le meningi per studiare progetti intelligenti che creino sviluppo e siano utili alla comunità. E le sprema un po’ meno per fare la quadra e spartire le poltrone disponibili nei vari assessorati o per progettare nuovi ingegnosi metodi per mantenere super stipendi, vitalizi e altri privilegi inaccettabili in questo periodo di crisi.
Perché se l’intelligenza è usata in quel modo, allora è molto meglio esser tonti.