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Quella banca che aveva un partito

Creato il 26 gennaio 2013 da Albertocapece

montedeipaschi-portoneroccasalimbeni450Negli anni ’80 in una città dell’Emilia, nota per la sua tradizione motoristica, scrissi di un piccolo scandaletto bancario che irritò molto l’Istituto di credito coinvolto. Dopo le rituali minacce di querela che tuttavia si scontravano con una corposa documentazione, un giorno il vicedirettore della banca telefona e mi chiede un incontro. Benissimo chissà quali notizie mi aspettavano, ma in realtà il tutto si risolse con la proposta di un patto di pacificazione. Anzi mi disse papale papale che se avessi voluto aprire un conto corrente presso la sua banca  avrebbe potuto offrirmi 30 milioni di scoperto (ai tempi era una discreta cifretta) sulla quale – mi fece capire – non sarebbero stati troppo rigorosi. In due parole la proposta era quella di tenermi per le palle perché di certo quei trenta milioni me li sarei spesi e semmai avessi scritto qualche altra cosa di non “approvato” mi avrebbero castigato.

Ora se questo è accaduto a me che non contavo un piffero, immaginiamoci cosa possa essere la “politica delle banche” in generale. Ecco perché l’affaire Mps è la cosa che meno mi indigna del Pd. Mi indignano assai di più i controllori che non controllano fingendo di essere irreprensibili quando invece fanno passare tutta l’acqua fangosa sotto i ponti della finanza; mi indigna il premier in pectore che -come dimostra l’azione di ripianamento delle perdite di Montepaschi – aveva i conti al centesimo, sapeva tutto e infatti si è preso come candidato un componente del Cda della banca, Alfredo Monaci; mi indigna Casini che fa il pesce in barile, ma che nell’istituto di credito senese ha avuto il suocero Catagirone, mi indignano le banche che hanno eletto tra gli applausi Mussari alla presidenza dell’Abi perché l’operazione che lo ha messo nei guai, l’acquisizione di antonveneta fuori prezzo e tangentone di due miliardi annesso veniva considerato “di sistema”; mi indigna il silenzio su situazioni analoghe che però non escono, prime fra tutte quella della Carige di cui è vice presidente il fratello di Scajola, Alessandro: su di lei  si addensano ombre simili con marchingegni per nascondere le perdite. Mi indigna il salotto buono di Mediobanca. Mi indigna che  nessuno conosca o osi rivelare al Paese le vere condizioni delle banche, il reale livello di titoli spazzatura che hanno in pancia e soprattutto la situazione che si sta creando con il sempre maggior livello di crediti inesigibili che la crisi e l’austerità montiana hanno creato.

Non è una situazione solo italiana da quando i centri finanziari hanno subornato la politica: in Germania sono le Sparkasse ad alimentare il sistema politico ed è ecco perché la Merkel  da una parte vuole sottrarre altra sovranità con l’unione bancaria, ma dall’altra cerca di rinviare e addomesticare i controlli. In Usa le banche sono stati i primi dieci grandi contributori di Romney e qualcosa vorrà pur dire. Ma insomma scopriremmo davvero l’acqua calda se pensassimo che sia questo il peccato del Pd, ben conoscendo il peso che ha il sistema bancario sulla tutta la politica, praticamente da sempre se si pensa che il primo grande scandalo dell’Italia unita fu quello della Banca Romana. Certo oggi la sensibilità è cambiata perché nel tempo delle vacche magre diventa evidente che il costo di tutto questo si riflette sull’impoverimento delle persone, che ciò che viene sottratto è sottratto a noi, che dietro agisce l’etica del profitto e l’immoralità sociale .

Ecco quello che davvero si può rimproverare al Pd non è la la mancanza di una diversità pragmatica rispetto a questo sistema, ma invece la mancanza di una diversità ideale, nel momento in cui ha accettato e fatto proprie quella visione di società che dimentica l’uguaglianza e la solidarietà per far pagare ai più deboli, gli errori, i giochi, le imposizioni dei più forti mettendosi sulla strada di un’oligarchia di fatto. Di essersi arreso alla svalutazione del lavoro e a tutti ideosofemi liberisti cui guardavano Monte e Monti, dimostrando così non di guidare una banca, ma in realtà di esserne guidato.

 


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