L’arrivo di soldati, carri armati e mezzi aeronavali russi in Siria, che Mosca riduce a una semplice assistenza all’esercito di Bashar al-Assad nella guerra all’ISIS, ha fatto storcere il naso ai molti nemici che il rais di Damasco ha sparsi per il Golfo Persico. L’Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman, il Bahrein e il Kuwait, tutti Stati di credo sunnita facenti parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), continuano a ribadire la loro opposizione al regime di Assad per la sua vicinanza politica e religiosa all’Iran sciita, ma ancora sembrano non aver deciso come comportarsi adesso con la presenza di Mosca: al momento, si sono limitati a definirla inopportuna, perchè fonte di un’escalation militare che può complicare non poco la situazione, ovvero le manovre sunnite per far cadere il governo baathista.
Il futuro della Siria è senza Assad: questa in sintesi la posizione di Riyad, esposta dal ministro degli Esteri saudita Adel Jubeir a margine di una recentemente riunione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, al termine della quale è stata rilasciata una dichiarazione congiunta a favore di una soluzione politica senza alcun intervento straniero. Tra le righe, si è trattato di un chiaro invito a Mosca e Teheran a restare fuori dal conflitto, nel quale invece le nazioni sunnite sono pienamente coinvolte attraverso il sostegno economico e militare che da almeno quattro anni forniscono alle milizie anti-governative, ISIS incluso.
Il ministro Jubeir non si nasconde dietro a un dito: Assad deve lasciare il potere, e se su ciò non dovesse esserci un accordo tra le parti in lotta, l’opzione militare saudita a sostegno dei ribelli non sarebbe esclusa. Non si tratterebbe tuttavia di un impegno in prima linea dell’Arabia Saudita, anche perchè la presenza sul terreno di militari russi e soldati iraniani accanto ai lealisti rischierebbe di provocare un’escalation poi difficilmente controllabile.
Riyad mostra i muscoli, ma la linea dei paesi del Golfo è quella di continuare a sostenere le milizie che combattono contro l’esercito regolare di Assad con denaro e tecnologia, evitando, almeno per ora, un improduttivo scontro armato con la Russia. Il precedente a cui Arabia Saudita e i suoi alleati guardano è quello dell’Afghanistan degli anni Ottanta, quando i mujaheddin antisovietici venivano ben sostenuti dai petrodollari arabi, come accaduto anche più recentemente con i gruppi terroristici in Cecenia e Dagestan. Nelle due repubbliche autonome russe l’indipendentismo d’ispirazione islamico-wahabita viene sostenuto anche attraverso le numerose scuole coraniche sovvenzionate dai sauditi, che ambiscono alla costituzione di un Emirato fantoccio, una propria zona d’influenza sulle ricchissime riserve di petrolio e di gas del Caucaso e del Mar Caspio.