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Quella volta che vidi Michael Schumacher, a Monza

Creato il 03 settembre 2015 da Aplusk

Quella volta che vidi Michael Schumacher, a MonzaGli incarichi di lavoro non c'entrano. Quando cresci con un mito del genere e sei bambino, forse già ragazzino, quante righe scriverai, quali siano i tempi delle consegne, i costi delle trasferte sono ancora qualcosa di lontano.
Non ti frega con chi andrai a Monza, a veder sfrecciare il tuo mito, quello per cui alle 5 del mattino puntavi la sveglia per i GP in televisione corsi dall'altra parte del mondo. Australia o Cina, non fa differenza. Un amico, un motorino e via, si parte, non vedi l'ora di arrivare a destinazione, anche il tragitto diventa elettrizzante, come nel "Sabato del villaggio" di Leopardi l'attesa fa la differenza, ti prepara all'evento caricandolo di aspettative ed emozione. Un biglietto acquistato all'esterno del circuito mi dava l'accesso alle prove libere che precedevano il Gran Premio di Monza. Uno dei tanti, non ricordo neanche quale fosse. In realtà non è rilevante.

Ricordo che il venerdì era il giorno che tra una bibita e un panino al prosciutto (a proposito, che prezzi!) mi é sempre piaciuto di più - sono ancora di questa idea - perchè il ticket d'ingresso di permette di spostarti liberamente in ogni parte del circuito, puoi provare ogni tribuna, guardare la pista da ogni angolazione. Quel giorno, quell'anno c'era Michael Schumacher con la Rossa dei sogni, quella che sfrecciava per davvero e ti faceva vincere i mondiali. Non me ne voglia Alonso, ma era tutt'altra roba rispetto al "carrarmato" che si ritrovano oggi i piloti, che non rinunciano al sogno di vestire la prestigiosa tuta rosso fuoco. Il prestigio non se lo prende l'asfalto, vive nella storia. Quel venerdì mi piantai in parabolica, mi piaceva come uscivano di curva le monoposto allargandosì, accarezzando il cordolo esterno, affondando il piede sull'acceleratore davano piena potenza al motore e sembravano volare nella prima parte del rettilineo. Cose che solo la Formula 1 uno regala.

Quella posizione, in parabolica, era anche l'occasione per fermare il tempo e frapporsi alla velocià, rallentando la corsa dei bolidi, perché lì sotto al naso c'era (c'è) l'accesso ai box: rombo del motore gonfiato e il cuore che seguiva il fascino di quel suono. Lo sport sa tramutarsi in poesia, è questo che lo rende magico per un ragazzino, come per un uomo. Era il momento del giro di Michael Schumacher, lo seguivi in ogni millimetro dell'asfalto, giravi la testa per cogliere appieno il suono ineguagliabile della velocità misto a potenza; un rapido sguardo al casco per conferma (era rosso come la macchina), era lui. Sedere incollato alla tribuna, tappini gialli fuori dalle orecchie: volevo sentire tutto, anche le vibrazioni dell'asfalto. Ma così ero troppo distante, faccio allora una corsa nel bosco per attaccare le mani alla rete e vedere da vicino. Qualcosa va storto.

Michael finisce nella ghiaia oggi spazzata via dall'asfalto ma che trattiene le polemiche dei piloti. Come era, era meglio, dicono. Michael Schumacher si insabbia, viene avvicinato da qualche omino vestito d'arancione, si controlla che sia tutto ok. Io guardavo e seguivo ogni movimento del braccio del mito che era lì, a 50 metri circa, non saprei dire con esattezza. Lo avevi visto sempre e solo in tv: non mi faccio incantare facilmente dai personaggi di sport, sono in tanti, la maggior parte non ti trasmette emozioni perché non si crea empatia. Ci sono poi i mostri sacri che con lo sport hanno qualcosa in comune ma vanno oltre, superano gli altri per tanti motivi ed è quello che ti lascia paralizzato e allo stesso tempo ti incanta e conquista e in qualche modo migliora. Perché ti spingono a fare meglio, a dare il massimo, ti insegnano che non devi arrenderti né fermarti perché la vita presenta sfide continue e come le vincono loro, puoi farlo tu.

Schumacher non scappò via, voltandosi e sparendo dietro le barriere. Si fermò qualche istante, spostando l'omino arancione e cercando tra gli alberi dall'altra parte della pista, proprio dove mi trovavo io. Vede quel gruppetto sparuto di disperati e fa un sorrisone convinto, ci cerca e saluta. Ci sono sportivi che, cuffie in testa e smartphone alla mano, tirano dritto: loro sono le star, ci tengono a rimarcare le distanze. Loro, non sapranno mai quello che sto dicendo. Quel tedesco che ha conquistato centinaia di migliaia di persone abbatté le distanze, lo sentimmo per pochi secondi uno di noi. I campioni sono questo, uomini normali che fanno cose straordinarie. Anche in un piccolo gesto. É successo tanti anni fa, ma non dimenticherò mai quella volta che vidi Michael Schumacher, a Monza.


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