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Quelle Nike di Londra

Creato il 10 agosto 2011 da Albertocapece

Quelle nike di LondraCameron dice che sono teppisti. Ma forse l’opinione di uno che ci resta male se non viene riconosciuta la sua faccia levigata e anonima, da prodotto industriale della politica, non è la più interessante. La cosa stimolante sono invece i commenti che si affollano a centinaia sotto i pezzi che descrivono i fatti di Londra perché sono uno specchio della nostra incapacità di comprendere la complessità.

Passandoli al setaccio emerge un mondo che fa fatica a comprendere se stesso e che si abbandona alla semplificazione come a un amplesso occasionale o forse con la rassegnazione coniugale di chi si è abituato a confondere la chiarezza con la facilità di giudizio. E dunque le tesi contrapposte che emergono è che ci si trovi di fronte a un moto rivoluzionario, all’insurrezione proletaria, a una presa della Bastiglia oppure, alla Cameron, che si tratti solo di marmaglia che approfitta dell’occasione per saccheggiare negozi e derubare. Marmaglia la cui esistenza è attribuita da qualche appartenente alla banda più numerosa, quella degli idioti morali e sociali, alla presenza in Gran Bretagna di un welfare esteso.

Ma lasciando perdere la quota di inevitabile quanto abbondante ottusità, trovo le due tesi contrapposte troppo ovvie e tuttavia stranamente omogenee, entrambe ancora dentro l’universo mentale liberista. I “rivoluzionari” non comprendono che se la ribellione avviene dentro il desiderio tutto borghese di possedere gli emblemi del successo, si è ancora dentro il feroce meccanismo dell’uomo consumatore e non cittadino. Gli altri invece non vedono che rubare le nike (e chissà perché proprio questo marchio è diventato simbolicamente preminente) non è un semplice furto, ma un respingere l’emarginazione impossessandosi di un “segno” magico di riscatto.

Però non c’è nulla di rivoluzionario nel confermare proprio le dinamiche sociali del liberismo che vive di possesso e che ha bisogno dell’emarginazione e della povertà come elemento dialettico, di trasformare tutti in banali desideranti. Ma proprio per questo non c’è nulla di puramente teppistico nell’appropriarsi dell’oggetto griffato, è invece una rivendicazione, il seme ancora non germinato e confuso di un’idea di diritto che va oltre le logiche economiche imposte da trent’anni.

Insomma sono i sintomi di qualcosa che sta muovendosi dentro l’occidente: e credo che stia alle società nel loro complesso, alle intelligenze e alle sensibilità far sì che essi non siano i segni solo di una malattia cronica e inevitabile, ma quelli di una guarigione.


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