Quelli che erano dei dritti ma con la voce sbilenca. Quelli che cantavano a orecchio perché bastava solo quello. Quelli che parlavano coi limoni e lo cantavano a fette. Quelli che dai soliti accordi tatta tira tira tira tatta tera tera ta cacciavano giù, pardon, cadeva giù l’Armando. Quelli che ci lasciano immaginare com’è andata a finire, si sono ritrovati un figlio da nutrire. Quelli che erano ragazzi padri però con un Paolo al posto di un Enzo. Quelli che hanno una strana famiglia. Quelli che Giorgio Gaber, quasi un fratello. Quelli che Mina, quasi Jannacci. Quelli che Cochi, insieme a Renato. Quelli che Paolo Conte, quasi Bartali. Quelli che Dario, ho visto un Fo. Quelli che Beppe, quando era Viola. Quelli che avevano una cosa in Lombardia, ma Chico Buarque de Hollanda. Quelli che votano scheda bianca per non sporcare. Quelli che fanno l’amore in piedi convinti di essere in un pied à terre. Quelli che pensano che Gesù bambino sia Babbo Natale da giovane. Quelli che non si divertono mai neanche quando ridono. Quelli che non hanno mai dimenticato il significato della parola ironia, anche quando non c’è niente da ridere. Quelli che quando un musicista ride, è perché dentro sente una strana gioia vera, o forse perché gli hanno mangiato una pera o una mela. Quelli che l’importante è esagerare, sia nel bene che nel male, senza mai farsi capire. Quelli che erano telegrafisti, dal cuore urgente. Quelli che hanno soffritto per lei, e picchiato solo negli angoli lui. Quelli che erano medici, ma avevano sdentato, fracassato, stracciato la tradizione della canzonetta italiana, senza nemmeno curarla. Quelli che lo ringrazieranno tutta la vita, per non averla curata. Quelli che per cinquant’anni sono andati fuori tempo nei dischi, a teatro, al cinema, in televisione e nei libri. Quelli che col tempo hanno scritto così tante belle canzoni da fare esplodere le fabbriche. Quelli che dal 1935 ad oggi ne hanno fatta di strada con un paio di scarpe da tennis. Quelli che in 78 anni non hanno mai perso un capello. Quelli che la bellezza dei vent’anni è poter non dare retta a chi pretende di spiegarti l’avvenire e poi il lavoro e poi l’amore. Quelli che senza de ti è molto peggio che senza i danè. Quelli a cui facevi tappare le orecchie quando cantavi, ed ora che non ci sei più gli fai tremare le mani mentre scrivono. Quelli che c’è sempre qualcuno che parte, sempre ammesso che parte. Quelli che come gli aeroplani volano via, senza neanche poterti dire vengo anch’io, perché diresti no, tu no. Quelli che con una dormita passa tutto, anche il cancro. Allora buon riposo, ciao, Enzo.
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