Per mettere a fuoco un particolare, per imprimere nella mente un dettaglio occorre restringere il campo visivo, un po’ come fa l’obiettivo di una macchina fotografica quando inquadra l’oggetto d’interesse.
La stesso accade alle persone affette da retinite pigmentosa, una malattia degli occhi che indebolisce la visione periferica. Si vede cioè ciò che abbiano davanti come attraverso un forellino.
A essere affetto da questa patologia è Milo, il protagonista di “Quello che gli altri non vedono” (Giunti, 12,00 euro), romanzo di esordio di una ex insegnante inglese, Virginia MacGregor, tradotto in molti Paesi.
Milo ha quasi dieci anni, vive in una cittadina nei dintorni di Londra con una mamma giovanissima, Sandy, che prova a lavorare come estetista dopo che il marito se n’è andato ad Abu Dhabi per rifarsi una vita con un’altra donna da cui ha avuto una bambina. La vita di Sandy sta andando alla deriva,con Milo che l’accusa di aver fatto scappare il suo papà.
Con loro vive anche la bisnonna ultranovantenne, Lou Moon, la quale non parla da 53 anni, da quando cioè il suo amato fidanzato è morto in guerra. Comunica solo con bigliettini scritti (questo particolare ricorda il comportamento del nonno, personaggio di “Molto forte, incredibilmente vicino” di Jonathan Safran Foer), e la sua mente va e viene.
Milo accudisce la nonna con pazienza e amore, e non accetta di buon grado l’idea che, dopo un incendio da essa provocato, l’anziana donna finisca nella casa di riposo Nontiscordardimè.E’ qui che entra in scena l’attenzione di Milo per i particolari, la capacità di notare ciò che gli altri non vedono.
L’ospizio è un luogo ospitale solo in apparenza, dove, lontana dagli occhi dei parenti, la responsabile, l’infermiera capo Tornhill, maltratta le degenti, requisendo loro il danaro, propinando pasti di scarsa qualità, negando loro i più innocui piaceri.
Ma nella casa di riposo non sono tutti insensibili: c’è Tripi, il cuoco scappato dalla Siria in guerra e che cerca di ritrovare sua sorella; e l’infermiera Heidi, che non ostacola la sua superiora perché è ancora una tirocinante, ma è gentile e premurosa con le vecchiette.
Milo va e viene con molta libertà, in compagnia del maialino Amleto; la mamma non si cura di lui, troppo presa a compiangersi ed ingrassare, mentre tutta la sua vita le sta crollando addosso.
Deciso a riportare la nonna a casa, Milo escogita un piano per smascherare la perfida infermiera Tornhill e mostrare a tutti le vere condizioni della clinica Nontiscordardimè. In questo piano riesce a coinvolgere un po’ tutti: anche il nuovo fidanzato della nonna, il greco Petrus, e un vicino che sta sempre alla finestra, un altro acuto osservatore come Milo. Trascina perfino un cugino del padre che fa il giornalista e che si è trasferito nella mansarda dove viveva la nonna.
Milo è un bambino ferito, che punta tutto sull’affetto di chi ha bisogno di lui dal momento che nessuno si occupa più gratuitamente del suo benessere. Se da un lato è cresciuto troppo in fretta, dall’altro rimane ingenuo, ma determinato a perseguire il suo obiettivo.
I suoi pensieri, le sue sensazioni sono tratteggiate da chi i bambini sembra conoscerli e per lo meno riesce ad immaginarli nella loro intimità, piccoli spesso in balia di adulti che non sono all’altezza del loro ruolo.
È un libro, questo, sull’infanzia e sulla terza età, sulla guerra e sull’ipocrisia. Al centro c’è l’amore che muove le gesta di tutti personaggi: c’è chi l’amore l’ha perduto e chi lo sogna, chi lo ritrova e chi non lo ricorda più. Pur trattando molti temi delicati, come l’abbandono e la morte, si rivela una storia consolatoria. Molti sbagliano, ma tutti alla fine vengono perdonati e trovano un nuovo riscatto. Tutti eccetto una, l’infermiera. Forse, nonostante le serie colpe, avrebbe meritato un accenno di possibile riscatto anche lei.
Se da un lato, vista la giovane età del protagonista, il linguaggio scorrevole e il piccolo giallo che si dipana capitolo dopo capitolo, il romanzo potrebbe essere indirizzato a un pubblico di ragazzini, dall’altro lato ci sono temi di interesse anche per gli adulti. Spunti che, attraverso gli occhi di Milo, aprono squarci vividi sulle relazioni e i sentimenti. Insomma, dopo aver familiarizzato col giovane protagonista, siamo portati a vedere i nostri stessi figli e i ragazzini che con noi entrano in contatto profondo, in modo diverso.
(età consigliata: dai 10 anni)