Mario Draghi, author World Economic Forum
di Rina Brundu. Occorre ammetterlo, di tanto in tanto Silvio Berlusconi ha un tocco d’artista (noblesse oblige), un impensabile colpo di coda capace di stendere il suo avversario al tappeto senza possibilità d’appello. “Niente selfie, non sono Renzi” avrebbe ammonito durante il suo ultimo tour elettorale pugliese, e in quella dichiarazione c’é tutto il detto e non detto sul peggio del renzismo imperante. Una sorta di fatwa che mette in primo piano il ruolo di “parvenu” digitale e politico del suo avversario e di fatto lo condanna a quel tristo destino nei secoli dei secoli.
Detto questo anche Berlusconi ha poco da ridere. Ce lo ricorda soprattutto la sua faccia stanca, tracciata da rughe che un tempo avrebbe considerato un oltraggio alla persona; lo dice il corpo fiaccato dal tempo e dalle continuate battaglie con i tanti “nemici” e i rari “amici” che formano la sua corte starnazzante e interessata, più che mai determinata a succhiare anche l’ultima goccia del suo sangue, fino all’ultimo respiro.
Sia nel caso di Matteo Renzi che nel caso di Silvio Berlusconi siamo insomma lontani anni luce dal modello di leadership (anche politica) e di capacità operativa che proietta dalla sua poltrona di Presidente della BCE, l’italianissimo Mario Draghi. Di fatto questo signore di 68 anni, felicemente arrivato, sicuramente bello, pacato, garbato, potente, rappresenta senza alcuna ombra di dubbio il nuovo sexy politico dell’era digitale così come non ci sono dubbi che rappresenti il best of Italy in materia di leadership politico-finanziaria. Soprattutto Draghi pare essere naturalmente dotato di tutto ciò che al netto delle agiografie della Stampa schierata sembrerebbe mancare al nostro pur ambizioso Premier: carisma, serietà, focus, capacità diplomatica e di prioritizzazione dei “task”, senso del low-profile, concentrazione, maturità, credibilità. Alla stregua del Goethe dei tempi migliori anche Mario Draghi sembrerebbe un “favorito dagli dei” con tutta la responsabilità che deriva da un simile status-quo.
A mio avviso – e non importa le diverse “quest” berlusconiche alla ricerca di un delfino politico autorizzato – il futuro della destra moderna dovrebbe ricominciare proprio da Mario Draghi non appena finirà il suo impegno comunitario. O da personaggi simili a colui. È infatti di questa tipologia di uomini preparati che ha bisogno il paese, così come ha bisogno di rimettere in primo piano il merito e l’expertise. Non vi sono dubbi infatti che il giorno in cui Draghi annunciasse una sua candidatura politica e si presentasse come leader papabile dei moderati, quello sarebbe pure il primo giorno della fine del renzismo così come lo conosciamo e forse il primo giorno della nascita di un’Italia diversa.
Di un’Italia finalmente capace di ottenere risultarsi senza prendersi troppo sul serio, proprio come a suo tempo faceva lo straordinario Presidente Whitmore (Bill Pullman), protagonista del mitico film “Independence Day” (1996) di Roland Emmerich. Fu proprio costui infatti che, davanti a Costance, suo Segretario di Stato, che lo accusava di stare politicizzando troppo la sua amministrazione senza nulla concludere, e lo sfotte di conseguenza “Be, in fondo la buona politica non è importante. Ha ragione lei signor Presidente, del resto l’Orange County Register l’ha comunque eletta uno dei dieci uomini più sexy dell’anno”, rispose senza battere ciglio “Vedi? Ecco dei risultati, finalmente!”.