Quello che il renzismo non dice (117) – Sulla straordinaria frenata del PD e sull’annunciata futura debacle del partito di Berlinguer senza base.

Creato il 01 giugno 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
 di Rina Brundu. L’impressione è che se quell’elettorato evidentemente schifato dall’attuale politica fosse andato a votare, il cambiamento sarebbe stato radicale, epocale. L’impressione è che se da qualsiasi parte, sinistra compresa, emergesse un capo carismatico e credibile i giorni del renzismo sarebbero contati in un mese di calendario. La fortuna di Matteo Renzi è proprio questa: nonostante i chiari segni di insofferenza che arrivano forti da ogni angolo di strada, non si è ancora palesato un leader capace di prendere in mano le redini del paese. Io non credo infatti che questo boss carismatico possa essere quel Matteo Salvini dal taglio ruspante che tutto fa fuorché ispirare fiducia, anche se in un’eventuale sfida a due, con un centro-destra unito intorno al leader leghista, diversamente da ciò che ritengono i fantasmi insofferenti che furono i leader di Area Popolare, non mi stupirei dell’eventuale vittoria di quest’ultimo.

A ben guardare il risultato più eclatante che si registra questa mattina dopo la tornata elettorale del fine settimana è l’essere riusciti a rimuovere il poster lenzuolo del leader dalla Home del Corriere della Sera. Sono piccole soddisfazioni ma chi si accontenta gode. Bisogna ammettere che sono cagione di una data goduria anche le contorte cogitazioni, le circonlocuzioni dei professionisti dell’informazione che si ingegnano a spiegare perché quella di ieri non sarebbe una disfatta per Matteo Renzi. Il voto non sarebbe stato un referendum su di lui, non sarebbe da addebitare al capo la straordinaria frenata del PD in tutte le regioni italiane. Come? Alle recenti europee il merito era tutto suo, ma adesso la colpa è degli altri?

Diversamente da questi interessati portavoce del far-credere, io ritengo che la frenata del PD sia da addebitarsi completamente alla crescente insofferenza verso il renzismo e che quello di ieri sia solo il primo movimento percepito della slavina che sommergerà molto presto il pronipote del glorioso partito che fu di Enrico Berlinguer. Forse già nel 2018 quando – mercé l’azione renzistica che se la cogitazione logica ha ancora un senso, procederà con l’usata determinazione che mostra il gallo senza testa quando confonde le dinamiche del management operativo con quelle più delicate dell’amministrazione di un paese – il PD si presenterà davanti agli elettori interamente privato di quella “base” che per allora sarà completamente migrata tra le fila del movimento di Grillo, forse persino tra quelle della Lega e Renzi, volente o nolente, diventerà l’Alfano dei tempi.

L’impressione insomma è che l’auspicato cambiamento, nonché il tempo di una politica diversa, moderna, onesta, a portata del cittadino, non possa essere troppo lontano. Naturalmente la strada resta in salita perché il renzismo gattopardico non andrà “quiet into the night”, così come non si accommoderanno alla porta con savoir-faire tutti i datati monumenti della Prima Repubblica che preserva con “ammirevole” determinazione, direttamente o indirettamente. La recente tornata elettorale oltre ad avere rimosso il poster-lenzuolo del leader dal già citato giornale, ha fornito anche un’altra precisa indicazione, ovvero che gli italiani sembrerebbero sposare la filosofia del “’ca nisciuno e fess” dell’immenso principe De Curtis più di quanto non si fosse mai creduto. E certamente più di quanto non sembrerebbe avere messo in conto l’apparentemente rilassato Matteo Renzi concentrato a fare ciò che evidentemente sa fare meglio: giocare con la play station.

Hilarious


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