Il solito parente del cinghiale di Floris
di Rina Brundu. Il colmo è che ci tocca pure difendere Massimo Giannini e Giovanni Floris, o per meglio dire i conduttori dei programmi di approfondimento similpolitico “Ballarò” (Rai3) e “Di Martedì” (La 7) – televisionate volgarmente dette “talk-shows” – indirettamente finiti nella “bufera” mediatica dopo il j’accuse e il relativo editto renziano. “Too many jokes come to mind” si dice in inglese quando qualcuno è preso alla sprovvista dalle molte battute che gli serve su un piatto d’argento il dato contesto, o l’ideale interlocutore (in questo caso Matteo Renzi), e francamente, nella specialissima occasione, debbo dirlo anche io: too many jokes!
Di fatto si fa davvero fatica a credere che il Premier di un paese amministrativamente incasinato ed economicamente ingolfato come è purtroppo il nostro, che si barcamena come meglio può dentro congiunture internazionali estremamente difficili, sprechi il suo tempo e la capacità oratoria per occuparsi di talk-shows. L’imbarazzo che si avverte anche a livello personale (colui resta comunque il tuo Premier), sta in realtà solo due tacche più sotto la naturale insofferenza e preoccupazione che si prova davanti ad ogni tipo di censura, specialmente quella che direttamente o indirettamente arriva dai ranghi più alti di un qualsiasi esecutivo. Ci si chiede anche che cosa sarebbe successo se l’autore di un simile editto contra televisione fosse stato il Silvio Berlusconi d’antan. Ma soprattutto ci si domanda se dato il silenzio tombale con cui sono state accolte queste provocatorie-dichiarazioni, l’intellettualismo di sinistra sia ormai diventato il fantasma di se stesso (per inciso un fantasma al quadrato dato che non ha mai brillato particolarmente se non quando doveva mandare la fanteria avanti per combattere le battaglie finanziarie del suo editore).
Dicevo che il colmo è che ci tocca difendere Giannini e Floris, nonché i loro programmi per neuroni anzianotti e semirincoglioniti (senza dimenticare che dell’autore Giovanni Floris io ho letto anche “Il Cinghiale e l’Architetto” e come ho dichiarato in tempi non sospetti ho sempre tifato per il cinghiale). Insomma, il compito è a suo modo arduo ed è un poco come difendere un ignavo senza infammia e senza lode o dover dire che ti piace il dolcetto fatto in casa dalla nonna anche se lo butti tra i roveti non appena lasci la sua dimora avita e ti stai domandando dov’é il lupo cattivo quando serve. Che il lupo cattivo è naturalmente Renzi, travestito da Cappuccetto Rosso per gli incontri nelle scuole e il té nei salotti che contano ma il “gist” non cambia e il “gist” è che il nostro Presidente del Consiglio sembrerebbe infastidito dalla critica, preferirebbe un Paese abbagliato davanti alla figura del “leader”, un uditorio pronto a genuflettersi ad ogni occasione propizia.
Ripensandoci il “colmo” è che Matteo Renzi è così “preso” dalla autoglorificazione oratoria che non si è neppure accorto che quel paese di Bengodi che sogna, una nazione prona all’adulazione dei potenti, anche all’adulazione giornalistica, esiste davvero ed è quello che lui sta attualmente governando. Anche i “talk shows” contro cui si è scagliato sono la prima fonte di celebrazione della Sua figura, il cenacolo mediatico dove ogni sera viene costruito il suo mito laddove non glielo possono costruire le qualità di leadership. L’unica fortuna di noialtri blogger “reietti” e impuniti è che ci esprimiamo in Rete e contro la Rete gli “editti” sono più difficili da lanciare: Go Floris, Go Giannini continuate la vostra opera di rincoglionimento mediatico e che il dio dell’anti-censura sia con voi. Ora et semper (o almeno in quelle tre ore in cui ci fate dei maroni grandi così!).