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Quello che il renzismo non dice (165) – Sulla scelta dei sindaci da destra a sinistra, o del governo-tecnico 2.0. E sulla vera novità nelle amministrative 2016: il paradosso etico del caso Di Battista a Roma.

Creato il 14 febbraio 2016 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
mario_monti_cropdi Rina Brundu. C’era una volta, non troppo tempo fa, nella ridente nazione italica il governo tecnico di Mario Monti. Era stato “assemblato” d’urgenza dopo lo sfascio procurato dalla casta politica che aveva annichilito il Sistema dentro quella stessa nazione e l’aveva portata ad un passo dal default finanziario. Il governo tecnico fu quello che, mercé la sua “eccezionalità”, dovette rimboccarsi le maniche e fare il lavoro “sporco”. Nel tempo che passava divenne, suo malgrado, il bersaglio preferito dalla suddetta casta politica che andava recuperando le sue “truppe” scalcagnate, e che tanto disse e tanto fece, – predando su un elettorato scontento quando non intellettualmente, politicamente passivo – fino a riuscire nell’intento di tornare al potere.

Due anni dopo quella nefasta “restaurazione”, il problema sembrerebbe ancora senza soluzione ed ecco quindi che in vista delle amministrative primaverili 2016 destra e sinistra si affrettano a fare ciò che sanno fare meglio: cooptare elementi “tecnici” dai loro ranghi per usarli come specchietti per le allodole e, in caso di fallimento politico e amminitrativo, trovare qualcuno contro cui scaricare le proprie responsabilità. Niente di nuovo sotto il sole quindi: semplicemente una specie di governo tecnico 2.0; purtroppo non sono niente di nuovo neppure i nomi che sono riusciti a mettere in campo le forze partitiche italiane. Di fatto sono nomi conosciuti, sono nomi d’establishment, datati e a vario titolo legati a quei tanti scandali più o meno grandi che costellano la nostra vita repubblicana da sempre.

Con un’unica eccezione: una situazione a suo modo paradossale con cui certamente non ci si era mai confrontati prima in Italia, e forse neppure in nessun’altra nazione del mondo. Il caso “eccezionale” è dato infatti dall’opzione sindaco di Roma che, volendo, potrebbe mettere sul tavolo il Movimento Cinque Stelle. Di fatto, Alessandro Di Battista sarebbe l’unico candidato veramente “politico” presentato alle incombenti elezioni amministrative nella capitale e l’unico di cui, con grado di sicumera che sfiora il 90% (forse di più), si può dire che potrebbe portare il risultato a casa senza troppi patemi.

Then again… Alessandro Di Battista è un parlamentare della Repubblica e secondo le rigide regole del Movimento non può abbandonare quel suo incarico per cui è stato votato dal popolo, allo scopo di saltare sul primo scranno disponibile. Rinunciare a cotanta occasione per sedimentare il potere o mantenersi fedeli alla promessa fatta al proprio elettorato?? Ecco un dilemma, un paradosso etico veramente nuovo nel panorama poltico italiano. Tanto nuovo che neppure chi vorrebbe davvero Di Battista in corsa per quella poltrona saprebbe risolverlo…. Fermo restando che la corretta via da seguire, sotto, sotto la intuiamo… tutti. È, per tanti versi, quella più ardua, quella più difficile, quella che non ha una storia tracciabile, ma anche quella che aprirebbe la porta ad una politica nazionale davvero nuova, sana come non l’abbiamo avuta mai. Allora, perché non andare fino in fondo e trovare nella società civile romana un altro rappresentante che potrebbe portare avanti lo stesso lavoro onesto di Di Battista?

Il resto, direbbe l’Albert Einstein preoccupato di conoscere i pensieri di Dio, sono dettagli… di “convenienza”… quindi neppure troppo importanti.


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