Come si osserva agevolmente, buona parte dell'Europa meridionale è in conclamato stato deflattivo. Mentre l'Italia, ormai da diversi mesi, sta flirtando pericolosamente con spinte disinflazionistiche importanti, ed è verosimile pensare che nei prossimi mesi cadrà anch'essa in deflazione, spingendo l'intera area euro verso livelli di inflazione negativi e comunque ancor più lontani dal target della Banca Centrale Europea del 2%.
Ladeflazioneè una diminuzione del livello generale dei prezzi, cioè il fenomeno opposto all'inflazione.
Mentre la disinflazione descrive un rallentamento del tasso di inflazione. La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, che differiscono gli acquisti attendendo ulteriori cali dei prezzi, creando una spirale negativa. Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori. La riduzione dei prezzi da parte delle imprese si ripercuote sui ricavi, anch'essi in calo. Ne deriva il tentativo da parte delle imprese di ridurre i costi, attraverso la diminuzione dei costi per l'acquisto di beni e servizi da altre imprese, del costo del lavoro e tramite un minor ricorso al credito. Ad un minor costo del lavoro, corrisponde una minore capacità di spesa per le famiglia non compensata da una riduzione dell'impatto fiscale, e quindi un livello più basso di consumi che genere ed aggrava la caduta dei prezzi e la spirale deflazionistica. A questo fenomeno, oltretutto, contribuisce un cambio dell'euro troppo forte che non rispecchia i fondamentali economici dei paesi mediterranei che, con una valuta più debole, potrebbero avvantaggiarsi con maggiori esportazioni, con riflessi positivi anche sulla domanda interna e quindi sul ciclo economico.Giova anche precisare che, alla luce delle spinte deflazionistiche sopra evidenziate, la situazione risulta ancor più grave proprio per quei paesi che hanno un elevato livello di debito pubblico, come l'Italia. Non solo perché l'Italia è costretta a pagare interessi sui titoli di Stato emessi in epoche precedenti e che quindi incorporano tassi di interessi più altri poiché "viziati" da un maggior livello di inflazione esistente all'epoca dell'emissione, e quindi un maggior onere in termini reali; ma soprattutto perché la caduta del livello dei prezzi determina una contrazione del PIL nominale, e quindi l'impossibilità di poter "diluire" lo stock di debito pubblico che viene espresso in rapporto al PIL.
Ne consegue che ad un minor PIL corrisponde un rapporto debito/Pil maggiore. Questo è tanto più vero e pericoloso proprio nel contesto dell'eurozona, anche alla luce della prossima applicazione del Fiscal Compact che, dai prossimi anni, imporrà agli stati membri la riduzione del rapporto debito/Pil che, entro i successivi venti anni, dovrà essere confinato entro il 60%. E' chiaro che, in periodi di bassa inflazione o addirittura di deflazione, il percorso di rientro del debito sarà assai più arduo, soprattutto nei primi anni di vigenza delle regole del Fiscal Compact, poiché dovranno implementarsi manovre di riduzione del debito più robuste ed incisive, con effetti ulteriormente recessivi.
Alla luce dei pericoli enunciati nelle considerazioni sopra esposte, non deve affatto sorprendere se Draghi, ormai quasi tutti i giorni, annuncia che la BCE è pronta ad intervenire (puntualizzando sempre che lo farà nei limiti del suo mandato, al fine di non urtare la componente tedesca, maggiore azionista della BCE) per "preservare la stabilità dei prezzi" che, come si osserva da molti mesi, si stanno allontanando sempre più dall'obiettivo target della BCE fissato al 2%, precipitando i paesi dell'area mediterranea verso la deflazione.
Addirittura, qualche giorno fa, il "falco" Jens Weidmann, numero uno della Bundesbank, nonché custode severissimo del rigore monetario tedesco, magari anche alla luce del risultato elettorale alle amministrative Francesi e delle prossime elezioni europee -attraverso le quali verrà eletto il nuovo Parlamento Europeo- al fine di tentare di arginare l'affermarsi di partiti politici con forti connotazioni antieuropeiste, sembra essersi improvvisamente trasformato in "colomba", aprendo all'ipotesi di un quantitative easing in salsa europea. Possibilità, questa, finora preclusa proprio dall'ortodossia monetaria tedesca.
Quindi, a quanto pare, pur nutrendo forti dubbi sulla possibilità che l'apertura tedesca possa avere riscontri nella realtà, ben presto potremmo assistere ad un ulteriore allentamento monetario da parte della BCE, peraltro auspicato anche dal Fondo Monetario Internazionale e da altre istituzione che esercitano molta pressione sulla BCE affinché intervenga.
Quindi, che potrà fare la BCE, al fine di arginare le spinte deflazionistiche che incombono nell'eurozona?
Sicuramente può intervenire sui tassi di interesse (REFI), tagliandoli. Anche se, con i tassi ad un livello prossimo allo zero (0.25%), i margini di manovra sono assai ridotti e magari lo sono anche gli effetti.
LETTURE SUGGERITE: TUTTE LE RAGIONI PER ESSERE CONTRARI ALL'AUMENTO DELLA TASSAZIONE SUI RISPARMI ASSALTO AI RISPARMI L'IMPOSTA PATRIMONIALE: SE LA CONOSCI LA EVITI L'ANNO ORRIBILE CHE ATTENDE LA BANCHE ITALIANE COME ESSERE POLLI (DA SPENNARE) E NON SAPERLO I RISPARMI AI TEMPI DEL COLERA VE LO STANNO DICENDO IN TUTTI I MODI
