Quindi abbiamo inventato piumini caldissimi prodotti con imbottiture e tessuti ultra-leggeri ma esistono ancora aule scolastiche tinteggiate color ospedale, metà pareti verdino malattia cronica e il resto bianco sporco scrostato, con arredamento stile libro cuore e muri spogli senza nemmeno una di quelle carte geografiche dove i ragazzi possono cercare asilo quando non ne possono più. E poi le luci al neon da ufficio del terziario parastatale anni ottanta con quella diffusione che forza l’uniformità, la piattezza, i non colori. Questo nel 2014 quando i nostri figli hanno a disposizione le tecnologie 3d dei multisala alla proiezione di film con effetti speciali che ti annullano la coscienza, strumenti digitali a risoluzione sinestesica, linguaggi talmente totalizzanti che nemmeno i guru della modernità e della filosofia della rete riescono a domare e a mettere al servizio dell’istruzione. D’altronde a che servono lavagne interattive – una roba che solo nella scuola come ci vogliono far credere debba essere sembra una tecnologia all’avanguardia al tempo dei tavoli touchscreen multiutente – e realtà aumentata per passare ore su Odoacre e Romolo Augustolo? Siamo talmente concentrati nello studiare da dove veniamo da non arrivare mai in tempo a capire dove siamo. Non serve fraintendere il presente solo perché oggi dà il peggio di sé se ci sono gli strumenti per isolarne il principio attivo e diffonderlo. Dobbiamo stare attenti perché se non siamo all’altezza del progresso corriamo il rischio che i nostri figli intendano scuola e istruzione come un deterrente al sapere, una bolla di sospensione dal tempo che abbiamo allestito per loro, considerando che ci è un po’ sfuggita la mano con gli ingredienti meno salubri.
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