Sono più le cose che non sappiamo dei personaggi letterari, di quelle che i loro autori hanno voluto che noi lettori sapessimo. Noi conosciamo le cose essenziali, quello che serve a farceli immaginare, a farli muovere sullo sfondo della storia con un minimo garantito di verosimiglianza. Tutto il resto lo conosce l’autore. L’autore sa tutto dei suoi personaggi, quando li inventa li fornisce di un pacchetto all inclusive, ne conosce il passato a menadito, tutti gli episodi della fanciullezza, tutti i traumi pregressi, conosce i loro corpi svestiti, sa quello che si nasconde sotto la loro coperta letteraria. A noi però, di tutto questo, arriva solo lo stretto necessario. La narrativa d’invenzione, ma anche quella biografica o più eminentemente realista, è il risultato di un filtraggio accanito. Questo mi ha sempre fatto pensare che forse esiste in qualche ultradimensione letteraria una retro-storia della letteratura in cui, per esempio, c’è tutto quello che non abbiamo mai saputo riguardo a Emma Bovary, ma che certamente doveva sapere Flaubert. È un universo infinito di fatti non raccontati, di caratteristiche fisiche e psicologiche mai svelate, ma senza i quali i personaggi dei romanzi non sarebbero così come li conosciamo per esperienza di lettura. Succede come quando in ufficio arriva un nuovo collega; di lui incominciamo ad apprezzare (o detestare) le caratteristiche più evidenti, pian piano, se lui si dimostrerà abbastanza estroverso, impareremo a conoscerne un minimo di storia, qualcosa del suo passato, qualche dettaglio del suo presente, tutto il resto (e non sto parlando di segreti inconfessabili, ma di cose che apparentemente non sono interessanti per la costruzione di un rapporto di tipo sociale) ci rimarrà oscuro. Eppure, la parte che ci mostrerà di sé il nostro nuovo collega sarà il combinato di tutte queste esperienze di cui noi mai verremo a conoscenza. È la nostra maschera sociale, l’immagine che diamo di noi al mondo. Con i personaggi della letteratura accade più o meno la stessa cosa. Ed è per questa ragione – e non per altre – che il romanzo assomiglia così ferocemente alla vita.
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