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Quello non ero io – prima puntata

Creato il 30 dicembre 2010 da Olineg

Per pagare pegno alla stanza degli alambicchi, in questo 2011, fino al 31 marzo, ogni lunedì e giovedì, ci sarà una “puntata” di un romanzo breve intitolato “Quello non ero io”. Se qualcuno avesse il cattivo gusto di seguire “la serie”, può trovare man mano tutti gli episodi nella nuova sezione “Quello non ero io” aggiunta nei link delle rubriche e delle categorie. Cattiva lettura a tutti.

Quello non ero io – prima puntata

Split Milk, by Slinkachu

La testa di Samuel è sull’asfalto. Un occhio è chiuso, compresso dall’ematoma. Il naso è parzialmente sommerso in una pozza di sangue.
- Tutto bene?
L’occhio sano tenta di inquadrarmi. Capisco di aver fatto una domanda del cazzo.
Lo aiuto a rimettersi in piedi. Lui si divincola, poi si accorge che inevitabilmente la gravità porta le sue ossa a scuotersi dolorosamente sull’asfalto. Accetta a malincuore il mio sostegno.

Mi chiamo Spartaco Scimè. Samuel Russo è il mio socio. Lavoriamo nella pubblicità, ma non siamo grafici, creativi o chissà cos’altro. Noi lavoriamo sul campo, in prima linea.
C’è una bella storiella che raccontano all’inizio dei corsi universitari in economia: su un’isola ci sono due uomini, per sopravvivere vanno a pesca, uno con la lenza è un vero talento, l’altro invece è un fenomeno nel trovare e riconoscere funghi, tuberi e bacche. Un giorno il pescatore viene illuminato da un’idea: – In una mattinata io prendo almeno tre pesci, tu nessuno. Nel pomeriggio tu riempi il cesto di funghi, io è tanto se non vengo morso dalle vipere. Se io pescassi tutto il giorno e tu ti dedicassi solo al bosco, insomma se ci specializzassimo, a fine giornata avremmo tre pesci e un cesto di funghi a testa, avremmo cioè raddoppiato il nostro profitto.
Bella storia. Morale della favola è che in un accordo economico ci guadagnano sempre tutti. Peccato che questa sia economia ideale. In un’isola vera il pescatore avrebbe dato fuoco al bosco e il raccoglitore di funghi avrebbe avvelenato le esche, tutto ciò per far aumentare il valore relativo della propria merce. Questa è l’economia reale.
Il nostro lavoro consiste in questo: mettiamo che una tavola calda ci chiami perché il nuovo ristorante cinese in fondo alla strada gli ruba i clienti, noi quella sera ordiniamo ravioli al vapore, alghe fritte, spaghetti alla piastra, pollo con bambù, e appena finito il gelato fritto uno di noi simula un’intossicazione con tanto di collasso sul tavolo dei fidanzatini, fra la salsa agrodolce e le nuvolette di riso. Insomma noi siamo quelli che bruciano il bosco e avvelenano le esche.
Lo so, non è etico. Come si dice: è uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare.
Se almeno una volta nella vita vi siete trovati d’accordo con chi dice “non è vero che non c’è lavoro, basta accontentarsi”, se almeno una volta avete dato ragione a chi sostiene che impegnandosi, dandosi da fare si può sbarcare il lunario, beh allora non potete biasimarci. Noi siamo semplici ingranaggi dell’economia reale.

Continua…



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