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Quello non ero io – terza puntata

Creato il 06 gennaio 2011 da Olineg

 

Quello non ero io – terza puntata

opera di Erica il Cane, 2010, Grottaglie (Ta)

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Mentirei se dicessi che il colore della pelle di Samuel non mi ha mai preoccupato, intendo nel lavoro. Anche nei progressisti più convinti c’è un sommerso pregiudizio razziale. Se prendete un campione di italiani, raccattati nei bar, nei cinema, nei ristoranti, nei negozi, e gli fate vedere due uomini chiusi in una stanza per il confronto all’americana, o davanti ai pannelli delle foto segnaletiche, per intenderci come nella locandina de “I soliti sospetti”, e gli chiedete secondo loro quale dei due uomini, uno bianco e uno nero, ha commesso un reato, come minimo il settanta per cento sceglierà il nero. Se poi chiedete con quale dei due sarebbero disposti a dividere un appartamento o un lavoro… beh se ne trovate uno siete fortunati. Io sono quel uno.
Quando uscii dal carcere fui ospite da Samuel per qualche settimana, e capii una cosa; se il nero nella stanza del confronto ha la giacca e gli occhiali, e se parla un italiano impeccabile, allora il nero può uscire dal commissariato incolume, come se al pregiudizio “Gli stranieri sono pericolosi”, ci fosse la postilla “però se sono ben vestiti ed educati sono innocui e simpatici, come i neri dei telefilm”.
Che poi Samuel tecnicamente non è neanche straniero, è stato adottato che aveva tre anni, ha la cittadinanza italiana, e dopo il suo arrivo in Italia non è uscito dai confini nazionali neanche per andare a San Marino.
Non cominciammo a lavorare subito, lui allora non avrebbe mai accettato.
Andai via da casa sua quando trovai un lavoro, o meglio fu mia nonna che lo trovò per me, scomodò i suoi amici preti pur di tenermi lontano da lei e da casa sua. Facevo le pulizie in una mensa; durai tre mesi. Andai a vivere in un appartamento abitato da studenti, qui incontrai Michele Lerni, che da lì a breve sarebbe stato per tutti Bradpitt. Di quella casa ricordo il cortile interno su cui dava la mia stanza: la notte avevo imparato a riconoscere i rumori amplificati dal vuoto tra le mura. Alla scala B abitava uno che in seconda serata scorreggiava tanto forte da far vibrare le molle del letto, mentre al pian terreno viveva un tipo che il venerdì e il sabato rincasava alle cinque, e la prima cosa che faceva era correre in bagno a vomitare. Ma il più molesto di tutti era il pensionato del settimo piano che una volta a settimana faceva la sua onesta lavatrice, ma dimenticava puntualmente di sistemare lo scarico, così l’acqua prima allagava il suo appartamento, poi si gettava giù dal balcone per più di venti metri, producendo uno scoppio da infarto seguito dal Niagara. Mi abituai anche a quello e una volta a settimana sognavo che il cortile era una specie di golfo interno, con iceberg di schiuma vaganti, allora io tiravo fuori una canna da pesca e la proiettavo fuori dalla finestra; ogni tanto tiravo su un’orata con la maglia di lana o un polpo coi tentacoli infilati dentro a dei calzini bucati.

Continua…

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