Magazine Diario personale

Quello pubblico fa acqua. Proviamo col servizio privato

Da Icalamari @frperinelli

Quello pubblico fa acqua. Proviamo col servizio privato

In una vita, a mettersi una mano sopra gli occhi e a guardare bene attraverso lo sguardo interiore, possono trovare posto molte altre vite. La mia ospita anche quella della patita di Bach, Beethoven e Mozart (patita amatoriale: nel senso che spesso non saprei dire titoli e date dei componimenti, ma riconoscerli e sospirare nell’ascolto –a volte vedendo materializzarsi nitidamente un certo ricordo-, sì).

Stamane, grazie al post letto sul blog Samgha a firma di Stefano Giulizia , post di cui consiglio la lettura, ho scoperto che ieri sarebbe stato il compleanno di Glenn Gould, l’affascinante rivisitatore delle Variazioni Goldberg di Bach.

Tra i commenti a questo video, uno dei tanti postati su Youtube (le Variazioni Goldberg 1-7), l’utente Atrebil71 ricorda

… che circa vent’anni fa, nel mese di luglio, che per i programmi della televisione è considerata bassa stagione, la RAI 3 alle ore 14.30, trasmetteva un programma presentato da Piero Rattalino con questo titolo: Glenn Gould, un mito del nostro secolo…

Una trasmissione alla quale sono stata incollata finché è durata, e che ritrovo in quest’articolo d’annata di Corrado Augias (La Repubblica del 14/07/1991):

Augias – La Repubblica 1991 Ma la tv muore di audience

MA LA TV MUORE DI AUDIENCE LA ‘POLTIGLIA’ CI SOMMERGERA’ ?

 

[...] viste per così dire da dentro, le cose della Tv sembrano così sfuggenti da perdere quasi una loro fisionomia e un senso univoco. Tanto più che agli stessi difetti, o colpe, si può arrivare passando per vie opposte. Ciò che sto tentando di dire è che, la Tv essendo un universum, ognuno può tirarla dalla sua parte come la più elastica pelle di zigrino. Faccio un esempio. Qualche giorno fa, presentando il nuovo programma di Alba Parietti La piscina, il direttore di Raitre Angelo Guglielmi ha detto: “L’ audience è la misura della qualità di un programma e una trasmissione di qualità ha sempre successo”. Prese alla lettera, sono parole che non hanno senso. Noi sappiamo che i programmi con più ascolto sono raramente quelli di maggior qualità, semmai sono quelli più popolari, nazional-popolari a voler usare un’ espressione impiegata una volta dal presidente della Rai Enrico Manca. In questo senso la famosa audience non è mai la misura della qualità di un programma, e semmai lo è in senso negativo. Più audience in genere equivale a meno qualità.

Come in economia la moneta cattiva scaccia la buona, così in televisione i programmi da audience scacciano quelli più difficili o più esigenti. E’ mai possibile che un dirigente delle capacità di Guglielmi si sia lasciato andare ad una contraddizione così plateale? Non è possibile. Infatti le sue parole vanno lette a mio parere in un altro modo. La qualità alla quale ha fatto riferimento non è la qualità in senso assoluto o tradizionale (o scolastico, se si vuole): vale a dire la qualità estetica, la qualità morale, la qualità e la coerenza delle parole e delle immagini. La qualità alla quale Guglielmi s’ è riferito è quella specifica della Tv, cioè di un mezzo di comunicazione che dà il meglio di sé quando entra in sintonia e centra i gusti e gli umori di quelle masse alle quali per definizione è destinato [...] La televisione sarebbe in partenza ancorata ai gusti di un pubblico medio o mediobasso, di cui si dà per scontato (non è un’ opinione che io presto a Guglielmi ma un’ interpretazione nata purtroppo dai fatti) che sia culturalmente irredimibile.

A conforto di questa interpretazione offro un caso concreto e attuale. Sono andate, stanno andando, in onda su Raitre le esecuzioni pianistiche di Glenn Gould, Bach e Beethoven eseguiti da uno dei più stravaganti, discutibili e clamorosi geni pianistici dei nostri tempi. Vanno in onda con il titolo Un mito del nostro secolo: Glenn Gould. Vanno in onda alle 14,20, col peso di tutti e 37 i gradi (all’ ombra) che in quelle ore gravano sulla penisola. Quale stranezza, si potrebbe ingenuamente pensare, mettere un titolo così impegnativo e altisonante Un mito del nostro secolo, a un programma mandato in onda in un orario così umiliante. Bach alle due e mezzo del pomeriggio. Di luglio. Eppure la vita, la figura e lo stile di Gould contengono davvero tutti gli elementi per fare di questo musicista un mito, un mito giovanile tra l’ altro, altro che cantautori e batteristi rock. Basterebbe che la Tv, capace di imporre qualunque cosa abbia voluto, quando l’ ha voluto, lo volesse. Se non lo vuole è perché la presenza del pianista Gould sui teleschermi è ritenuta incongrua con quelle finalità di massa che sarebbero le uniche adatte al mezzo.

Faccio un altro esempio nel quale sono direttamente interessato e me ne scuso. mai possibile che in un ente pubblico che trasmette su tre reti per decine di ore al giorno, 365 giorni all’ anno, non ci sia posto per un programma di libri? Intendo un posto normale, pacifico, un programma che si deve fare per definizione, un servizio che si deve dare perché così dettano le regole di un paese che in fondo non è ancora diventato Terzo Mondo, che ha una tradizione culturale e letteraria di prim’ ordine e pazienza se non sarà un programma di massa. Possibile che invece ogni volta la cosa debba essere penosamente contrattata e che alla fine il posto si trovi ma passando per il rotto della cuffia, come se si trattasse d’ una vergogna? o d’ uno scotto pagato? o d’ un piacere fatto? Tutto questo è possibile solo in una concezione che concentra la funzione televisiva nella sua zona centrale e di massa, mentre viene volutamente scartato ogni interesse marginale o specializzato. Così come viene scartato ogni dovere d’ informazione non elementare, ogni programma che non faccia leva sui più diffusi e grossolani sentimenti da romanzo nazional-popolare.

Chiederei a Beniamino Placido, che è uno specialista, a quale causa attribuisce il fatto che la televisione di Stato in Italia ha ignorato quasi del tutto il bicentenario mozartiano, al di là di ogni opportunità e decenza. Ma come, viviamo in un paese di profonda e radicata ignoranza musicale, dove si chiede di continuo che la scuola (la nostra povera scuola già così oberata di compiti che non sa svolgere) insegni ad amare la musica. Ci si offre una ghiotta occasione come questa: un musicista come Mozart, con la ricchezza delle sue composizioni, delle sue melodie, con le leggende sulla sua vita, e sulla sua morte. Si aggiunge il fatto che un film fortunato e infedele come Amadeus lo ha già reso mitico e amato anche da chi non l’ aveva mai conosciuto prima. Nonostante ciò, tutto quello che la Rai è capace di mettere in onda è qualche concerto nelle ore più alte della notte.

Dietro questa indifferenza non c’ è soltanto il disinteresse che nasce dalla disinformazione, ci sono le assai concrete ragioni che c’ è poco spazio per il resto, quando bisogna affannarsi a soddisfare tanti interessi politici e di partito. E poi ci sono le ragioni commerciali (più audience uguale contratti pubblicitari più grassi) che però dovrebbero riguardare fino a un certo punto un ente titolare di un servizio pubblico per il quale, tra l’ altro, viene richiesto agli utenti di pagare un canone d’ abbonamento.

Quando si perdono occasioni così facili, così a portata di mano, non c’ è molta possibilità che si sappiano poi cogliere quelle più difficili, anche se altrettanto doverose. Quando questo succede, va via ogni speranza di cambiamento in meglio. Quando congiurano verso lo stesso risultato le concezioni più snob e quelle più futili, quando soldi, politica e spirito elitario si concentrano tutte sul peggio e la melma nera di Blob si spande proprio su tutto, allora il discorso sulla critica televisiva si sposta, trasformandosi in un quesito sul modo di far televisione tout court. Riassumibile nella seguente domanda: perché mai, in un paese ridotto nelle condizioni del nostro, la televisione dovrebbe essere migliore del resto?

Augias, poi, il suo contenitore culturale (Le Storie), l’ha ottenuto, ma. La televisione, e anche il resto del Paese, è sempre più spazzatura (in alcune località anche fuori di metafora) e i media ormai hanno superato ogni previsione, in bene e in male.

Nel mio piccolo, stamattina, mi sarei rifugiata in quell’altra vita, un’altra ancora. Mi sarei infilata un abitino grigio chiaro, raccolti i capelli sulla nuca e messi gli attrezzi del mestiere in un cestino intrecciato. E mi sarei lasciata prendere per mano, guidata a sedere sopra una poltroncina, dal raffinato cliente di un albergo che avesse deciso di offrirmi un attimo di consapevolezza estrema.


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