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Quelques heures de printemps di Stéphane Brizé con VIncent Lindon, Florence Mignon Belgio, 2012 Genere, drammatico Durata, 109’
Ci sono film di cui è complicato parlare. A rendere difficile un discorso, in questo caso, non è la cripticità della storia e neanche la mancanza di contenuti, bensì il tema, quello di un rapporto tra una madre e un figlio minato da una malattia incurabile che lascerà alla donna poche settimane di vita. Quando Alain quasi per caso lo scopre siamo già a metà del film e, nel frattempo, abbiamo assistito ad un legame caratterizzato da non detti carichi di rabbia e di impotenza destinati a confluire negli attacchi di collera del figlio nei confronti dell'anziana madre, incapace di saper gestire la presenza di quel figlio appena tornato a casa dopo essere uscito di prigione per un reato che non conosceremo mai. L'omissione, viste le altre presenti nel corso della vicenda, è la caratteristica più evidente di un film che fa del pudore e del rispetto, nei confronti di una storia che mette a nudo il dolore dei suoi personaggi, la sua cifra contenutistica e formale. E' proprio con questa sottrazione che si riesce a non perdere niente dal punto di vista emotivo e della costruzione dei caratteri ma che, anzi, vengono arricchiti di una drammaticità struggente e dignitosa: Brizé si serve di queste peculiarità per arrivare al suo atto conclusivo, quello del suicidio assistito presso una clinica svizzera in cui la distanza emotiva accumulatasi durante tutto la storia si scioglie in un abbraccio finale, quello che congederà per sempre il figlio dalla propria madre in una sequenza destinata a rimanere tra i ricordi più importanti dell'intera stagione cinematografica, per il carico di significati e la compostezza realizzativa. Se "Quelques heures de printemps" è, come si suol dire, un film di scrittura per il meccanismo perfetto della sua sceneggiatura, molto della sua riuscita è dovuta anche alla direzione attoriale che ci regala una coppia di interpreti, come il redivivo (da un po' di tempo) Vincent Lindon nei panni di un uomo ostinatamente attaccato al proprio disagio, e di Helen Vincent in quello della madre di Alain, perfetta nel rendere una laconicità densa di parole. In attesa della fatica di Marco Bellocchio, quest'opera sembra quasi cavalcare molti degli argomenti che già oggi si sono scatenati attorno al tema dell'eutanasia di cui questa pellicola, laica, si fa portatrice. (pubblicata su ondacinema.it/speciale 65° edizione del festival del film di Locarno)
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