Qua le cose sono due. O Quentin Tarantino è completamente pazzo, oppure è un genio della regia. Meglio ancora, Quentin Tarantino è un regista geniale e del tutto pazzo. Aggiungiamoci un bel paio di palle e avremo la ricetta perfetta per un regista che sta facendo la storia del cinema moderno, reinterpretando il passato e confrontandosi con la Storia e il Mito senza farsi schiacciare.
Dico che Quentin Tarantino ha le palle perché non ha paura di sporcarsi le mani trattando temi che altri registi rifuggono come la peste nera, perché riesce ad inserire sempre la violenza nel contesto attribuendo ad essa quella onnipresenza che sarebbe peccato mortale non rilevare nella realtà senza che la violenza stessa diventi protagonista e perché quando pensi che ormai hai visto tutto, lui ti sorprende con una trovata geniale.
Tarantino è un regista che o si odia o si ama, non esiste la mezza misura. I puristi del cinema, quelli che amano trame lineari, schema narrativo piatto e rassicurante e finali scontati non si troveranno d’accordo con quanto ho scritto finora però la sincerità del regista Tarantino è indiscutibile: sai che in un suo film può succedere di tutto, e lui non fa nulla per rassicurare la frangia di pubblico di cui scrivevo sopra, per cui lo spettatore medio è avvertito. D’altra parte chi invece preferisce una trama ingarbugliata, i colpi di scena e i finali a sorpresa con Tarantino si troverà a proprio agio.
La prima parte della produzione di Tarantino può essere intitolata: il regista che crea i miti. In poco più di 10 anni, dal 1992 al 2004 il folle Quentin ha diretto e sceneggiato 5 film-culto che hanno creato l’universo mitologico-cinematografico tarantiniano: personaggi al limite in tutti i sensi, caratterizzazioni eccellenti di gangster feroci e sanguinari, di killer dalla parlantina forbita e spose leggermente…incazzate. E’ in questo contesto che troviamo il torturatore Mr Blonde (Michael Madsen) da Le Iene (1992), l’esilarante coppia di killer Vincent Vega (John Travolta) e Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) di Pulp Fiction (1994) senza scordare le eroine Jackie Brown (Pam Grier) dell’omonimo film e Beatrix Kiddo (Uma Thurman) di Kill Bill volume I e 2 (2003-2004).
I miti che Tarantino crea in questa fase della sua carriera dietro la telecamera rimarranno indelebili nella storia del cinema e serviranno da punto di riferimento ad altri registi per costruire personaggi “fighi” basati, ad esempio, sulla crudeltà di Mr Blonde o sulla spigliatezza di Jules Winnfield. Ma non sono solo i personaggi tarantiniani a diventare oggetto di culto per gli appassionati, infatti, ci sono alcuni espedienti, dialoghi e oggetti che a distanza di tempo sono venerati come veri e propri feticci: la famosa valigetta dal prezioso e misterioso contenuto che Vega e Winnfield devono riportare a Marsellus Wallace, lo scambio di battute sul “massaggio ai piedi” e il celeberrimo (e inventato) passo della Bibbia che Winnfield recita all’inizio di Pulp Fiction o ancora la battuta copiata e stracopiata in seguito “Sono Mister Wolf. Risolvo problemi” recitata da Harvey Keitel nei panni di Winston Wolf.
Per i posteri:
Ezechiele, 25:17. Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà, conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in realtà il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare, e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore, quando farò calare la mia vendetta sopra di te!
Dopo aver recitato il ruolo del creatore di miti, Tarantino si dedica alla collaborazione con il collega e altrettanto folle Robert Rodriguez dalla quale verranno fuori due film molto particolari: l’adattamento per il cinema di un fumetto cult e uno slasher movie.
Sin City nasce da un fumetto indipendente ambientato una immaginaria Basin City rinominata Sin City per la depravazione e il vizio che in essa dilagano. Tarantino firma l’episodio “Un’Abbuffata di morte” in cui in pieno stile dark-noir racconta la storia del giovane Dwight (Clive Owen) il quale si trova coinvolto in uno scontro cruento tra una banda di aggressive prostitute e la polizia del posto. Nell’episodio ritorna un tema che a Quentin era piaciuto assai: la donna con le spade giapponesi. Le spade utilizzate nel film pare che appartengano ad una collezione privata del regista.
Nel 2007 Tarantino dirige Grindhouse – a prova di morte, episodio iniziale del film doppio Planet Terror. Quest’ultimo è un film in pieno stile Rodriguez quindi tanto sangue, zombie, sparatorie e schizzi di organi umani dappertutto; l’episodio di matrice tarantiniana invece è una storia molto più reale in cui un serial killer, Stuntman Mike, decide di far fuori 5 ragazze utilizzando come arma la sua vettura che lui definisce a prova di morte.
Battuta cult
Ehi, Pam, ti ricordi quando ho detto che la macchina era a prova di morte? Non dicevo una bugia… questa macchina è al cento per cento a prova di morte, ma per godere di questo vantaggio, tesoro, tu dovresti essere seduta esattamente dove sono io!
Se la carriera di Tarantino fosse una partita di poker questo è il momento di fare all-in e mostrare a tutti il punto vincente.
Quentin decide di confrontarsi con la Storia e con il Mito: un progetto ambizioso e potenzialmente pericoloso che potrebbe distruggere la sua credibilità.
In Bastardi Senza Gloria il regista dirige una storia di guerra. Nella Francia occupata dai nazisti un gruppo di soldati americani si nasconde tra le linee nemiche torturando e massacrando ogni tedesco catturato. Ciò causa imbarazzo al Fuhrer mentre il gran consiglio del Nazismo si sta preparando a celebrare la celebre impresa del soldato semplice Zoller che in un azione disperata ha ucciso da solo 300 soldati nemici. Per la premiere del film Orgoglio della Nazione, dedicato alle gesta di Zoller, viene scelto il cinema della giovane Shosanna che, essendo ebrea ed avendo vissuto sulla propria pelle la persecuzione razziale, ordisce un piano per liberarsi definitivamente di tutte le più alte cariche del Nazismo. Con una grandiosa esplosione Shosanna libera il mondo dal nazismo e Tarantino dimostra di avere il potere (e le palle di cui sopra) per sovvertire il corso degli eventi e dirci: ” Sarebbe stato davvero bello ed esaltante se fosse successo veramente”.
Non contento di quanto fatto con la Storia, Tarantino addenta il Mito. Nella fattispecie il Mito si chiama Django, personaggio caratterizzato straordinariamente da Franco Nero in un film di Sergio Corbucci degli anni 60 (il nostro amico Giuseppe Causarano ne ha parlato abbondantemente qui).
La leggenda vuole che Will Smith dopo aver letto il copione abbia rifiutato la parte subodorando che al netto dell’ego di Tarantino non ci fosse molto spazio per quello del personaggio da cui il film prende il nome. Il Django di Tarantino non è il remake di quello di Corbucci, questo è bene specificarlo, quindi risparmiatevi e risparmiamoci impietosi confronti, il film è un omaggio al capostipite del western all’italiana. Se Franco Nero aveva tratteggiato un Django taciturno, con Tarantino Jaime Foxx diventa un Django linguacciuto e spregiudicato ma con la stessa velocità di esecuzione di quello corbucciano. Tarantino riesce nella folle impresa di mescolare un mito del western con uno della letteratura norrena: Django è l’alter ego dell’eroe Sigfrido quanto la moglie Ildi è metafora vivente di Brunilde. Artefice della trasformazione da schiavo a eroe di Django è il dottor King Schultz interpretato da un eccezionale Christoph Waltz. Tarantino dunque piega il Mito al proprio volere e riesce a fonderlo con la sua tecnica con la solita genialità.
Storia e Mito si piegano quindi davanti agli attributi di Tarantino.
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