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Tennessee Williams dà a Willie, un’adolescente che arriva in scena in bilico sui binari di una ferrovia abbandonata, il compito di raccontare a un suo coetaneo la storia di Alva, sua sorella, morta di una “malattia di petto” alcuni anni prima.
In origine “Forbidden”, un lungo flash back, riscritto per John Huston è stato poi trattato da Coppola, Coe e Summer per Sidney Pollak aggiungendo alla storia romantico/drammatica, il tema della grande depressione da Williams appena sfiorato.
La storia è quella di Owen Legate, uno splendido Robert Redford, che arriva nella piccola cittadina di Dodson nei pressi di Menphis per ridurre, fino a chiudere definitivamente la ferrovia, unica fonte di guadagno per gli abitanti del posto.
Appena sistemato nella pensione - la madre di Alva e Willie, Hazel Star/ Kete Reid, ha trasformato la grande villa in una pensione-, la protagonista, in una sottile vestaglietta azzurra, si presenta al pubblico e al giovane che viene dalla città facendo un quadro di sé che spaventerebbe chiunque.
Alva in realtà non è una “sgualdrinella qualunque” come in molti la considerano, vuole solo scappare, andare via da un posto come quello dove una ragazza così– una Natalie Wood bellissima e “in parte”- rischia di essere troppo chiacchierata e, come scopriremo più tardi, cerca disperatamente di sfuggire a sua madre che vuole farla prostituire con l'arma del senso di colpa “Ho sacrificato tutto per te, e ora che ti chiedo di essere solo un po' gentile con qualcuno fai tante storie!”.
Il testo è drammatico come tutte le pieces di Williams che, nato nel 1911 a Columbus è stato l’autore di storie come “Un Tram chiamato desiderio”, “La gatta sul tetto che scotta”, “Lo zoo di vetro”, “Improvvisamente l’estate scorsa”, “Baby Doll”, solo per citare le più conosciute e con forti implicazioni psicoanalitiche e sociali.
L’alcolismo, le nevrosi che nascono dai rapporti familiari, dalla frustrazione di una vita che non si è scelta, sono protagonisti indiscussi di dialoghi costruiti con maestria tra digressioni poetiche e scontri dialettici.
“No Alva, il cielo non è bianco, è azzurro, e questo vagone non andrà da nessuna parte, è su un binario morto, e questo non è talco, è soltanto polvere” dirà Owen per riportare alla realtà Alva che vive in un presente sempre trasfigurato.
Forse perché Tomas diventato poi Tennesse, soffriva di forti crisi di panico, perché era stato deriso dal padre, che non trovava nel figlio la giusta dose di “machismo”, perché aveva una sorella psicotica, ma la sua penna si riconosce dalle prime battute, dall’atmosfera, da un dramma che è sempre dietro l’angolo nella vita di ognuno, una tragedia che alla fine si dovrà consumare.
Alva, abbandonata dal padre, uomo di cui conserva un ricordo forse non proprio aderente alla realtà, è una donna che offre il proprio corpo come unica moneta di scambio: è la sola cosa che ha.
Ma poi che cosa c’è di male?
Di male c’è il moralismo di Redford, le chiacchiere di Dodson, di tutti quelli che proprio perché non l’hanno avuta, vogliono distruggerla.
Perché Alva è vergine, ci rassicura Williams durante un dialogo tra la protagonista e la piccola Willie, Alva è pura, è un angelo che qualcuno vuole insozzare.
Se Williams fosse ancora in vita, eviterebbe di porre l’accento su questo aspetto.
Perché il vero perno del dramma, è che Alva non esiste senza gli altri.
Il problema, la “stortura” psicoanalitica di questa “ragazza di tutti” è che non può fare a meno di un uomo, che cerca un padre che la porti via, come molte donne che allora aspettavano il marito in casa, tra forno e radio e poi tra tivvù e aspirapolvere.
Le protagoniste di Williams sono donne dalla personalità ambigua, apparentemente fragili ma in possesso della forza e della consapevolezza che porterà Maggie “la gatta” ad aiutare Brick, un maschio dalla rabbia repressa e dalla rimozione facile, a reagire a suo padre, al fratello e all’odiosa cognata.
Le donne di Williams sono schiacciate dal bigottismo che le vuole madri e mogli ma condannate a sopperire alla mancanza di virilità del compagno.
Sono loro che, prigioniere di una femminilità stereotipata ma necessaria, si liberano da quella sensualità imposta e fanno il lavoro di entrambi: sollevano l’uomo dall’ubriachezza molesta, dalla mancanza di autocontrollo e di coraggio, mentono e uccidono.
E oggi cos’è cambiato?
Forse qualcosa, ma solo per l’uomo.
Credo che oggi l’uomo si sia liberato dalla paura di non essere più un maschio Alpha e di mostrarsi debole e pieno d’incertezze.
Per noi, invece, non è cambiato nulla, forti eravamo e forti siamo rimaste, ancora schiave di un corpo perfetto e di una sensualità sempre più esibita e sempre meno naturale, in prima pagina non per il lavoro che ogni giorno siamo costrette a fare - dilaniate tra famiglia e carriera- ma per la squallida mercificazione del nostro corpo e, che sia per un matrimonio perfetto o per una marchetta con il Premier, restiamo le più clikkate sul web come protagoniste dell’ultimo scandalo sessuale.
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