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di Maria Pia Caporuscio. Chi avrebbe mai detto che le scoperte tecnologiche che dovevano sollevare l’uomo dalla fatica e dalla schiavitù del lavoro, lo avrebbero reso ancora più schiavo? L’utilizzo sbagliato della tecnologia si ripercuote non solo contro i lavoratori ma anche contro l’economia, che è la sola cosa capace di togliere il sonno a questi “padroni”.Dalla fine del ventesimo secolo stiamo assistendo ad una terrificante degenerazione del capitalismo finanziario, che depreda il pianeta di tutte le risorse privando il resto dell’umanità persino del cibo. Questo sistema va ribattezzato “crimine contro l’umanità” perché toglie agli esseri umani quel che gli spetta per diritto di nascita. Questa vergogna la chiamano “progresso” quando è un inaccettabile regresso che comporta la perdita del lavoro per migliaia di cittadini (sostituiti dalle macchine) e l’ulteriore schiavitù di quelli addetti al funzionamento delle stesse, che vengono caricati di super lavoro non retribuito e costretti ad accettare per non finire anch’essi disoccupati. La precarietà, la perdita dei diritti, l’isolamento dei sindacati, servono a riportare la classe lavoratrice al passato remoto. Sembra un paradosso ma il governo attuale e quelli che si sono alternati alla guida di questo paese, sono stati capaci di strappare anche la voce ai cittadini, oltre alla pace, alla serenità, alla sicurezza e alla speranza di un domani migliore. I cittadini italiani umiliati e delusi soccombono, dopo aver creduto per anni, di essersi lasciati alle spalle la miseria, le violenze e gli abusi di potere. L’ostinazione della classe politica nel non voler ammettere di essersi fatti abbindolare dal mito del capitalismo finanziario, quale miglior sistema di spartizione delle risorse, dimostra quanto l’attuale classe politica sia inadeguata a governare. Non riconoscere il madornale errore di valutazione è gravissimo, in quanto si continua non solo a sfruttare ma addirittura a schiavizzare la popolazione, oltre che violentare la natura: come si può parlare di efficienza, di crescita, di civiltà in una situazione in cui l’intera classe lavoratrice viene privata dei suoi diritti, del lavoro e perfino della dignità? Come si può definire efficienza quando la ricchezza prodotta viene distrutta per decine di migliaia di miliardi, mentre milioni di persone non hanno di che sfamarsi? Come si fa a parlare di progresso quando nel giro di pochi anni nel mondo i disoccupati diventano 230 milioni? Che progresso c’è in questa globalizzazione dei mercati, che trasferisce le ricchezze in poche mani, depredando tutti gli altri? Come è possibile negare questo gigantesco imbroglio? Questi sono crimini di cui dovranno rispondere non solo i capi di Stato, le banche mondiali e le multinazionali ma anche la stampa, che appoggia questi criminali invece di denunciarli. Occultare gli orrori commessi ai danni dei cittadini significa darli in pasto ai predatori. Gli uomini di potere sono sempre stati sordi muti e ciechi nei confronti delle popolazioni, ma gli attuali hanno superato ogni limite. Ora non si occupano più di governare il proprio paese ma di curare gli interessi delle banche mondiali e delle multinazionali e questo fino al punto da inventarsi nemici e arrivare anche a compiere stragi contro i propri cittadini per terrorizzare tutti gli altri, dando la colpa a questi fantomatici nemici e scatenare la loro rabbia per spingerli ad accettare qualsiasi vile decisione politica ed economica, che mai riuscirebbero ad ottenere senza la paura e la rabbia. Questo che chiamano “Nuovo Ordine Mondiale” sta trasformando il pianeta Terra in un inferno, dove i demoni sono i capitalisti, i governanti e la stampa a cui si aggiungono ora anche le forze dell’ordine (nate per proteggere i cittadini) invece proteggono i potenti, mentre dei cittadini ne sono i guardiani, per scoraggiare le manifestazioni di piazza e bloccare ogni possibile tentativo di ribellione contro questi abusi di potere. Che nostalgia di quando compravamo solo quello che era veramente utile e non quello che serve a far ingrassare questi usurai. Nostalgia di quando esisteva il progresso vero, quello umano fatto di rapporti affettivi, di partecipazione, di scambi di favori, di condivisione di gioie e dolori, quando pur avendo poco ci sentivamo ricchi, quando le giornate erano lunghe e avevamo tempo per parlare in famiglia e coi vicini, passeggiare con gli amici e sentirsi liberi senza debiti, senza droghe, senza la paura del futuro. Quando non eravamo ossessionati da questo frenetico correre, che ci impedisce di godere di tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Che nostalgia di quando questo genere di “progresso” non esisteva e nelle strade si sentiva la gente ridere e cantare. Cantavano tutti: il panettiere mentre sfornava il pane e il suo profumo si spandeva nell’aria. Cantava il “cascherino” che lo distribuiva nei negozi, spingendo il carrettino a mano. Cantava il fioraio mentre dentro il chiosco sistemava i fiori nei vasi e cantava il calzolaio mentre batteva il martelletto sulla suola. Cantava con voce rauca il vecchietto mentre riparava gli ombrelli e cantava anche quello che impagliava le sedie. Cantavano i giovani in bicicletta nei viottoli di campagna e le ragazze che camminavano a piedi per raggiungere la vigna. Cantava il muratore mentre passava il pennello sulle pareti e la nonna che sferruzzava calzettoni. Cantava la vicina quando bagnava il basilico e il prezzemolo nei vasi sul davanzale e l’arrotino sul suo traballante triciclo. Cantava il ragazzino che insieme al padre pascolava le pecore e cantavano in coro i contadini quando mietevano il grano. Cantavano canzoni d’amore gli innamorati sotto le finestre delle ragazze, facendo le serenate. Eravamo pieni di allegria e ridevamo tutti, ridevamo sempre: in strada mentre leccavamo il gelato, sui tram dove i bigliettai raccontavano barzellette, ridevamo alle battute dei compagni di scuola e ai “chi è” quando per scherzo suonavamo i campanelli dei portoni. Oggi non canta più nessuno, non ride più nessuno. Sui volti delle persone si legge preoccupazione e tristezza e ci si guarda con sospetto. Sui marciapiedi i ragazzi non giocano a corda, a campana, a nizza e nelle strade sfrecciano le auto che appestano l’aria. I portoni sono tutti sprangati e non ci si può riparare dalla pioggia quando non abbiamo l’ombrello. Persino le finestre sono chiuse e i davanzali vuoti e le campane delle Chiese evitano di rintoccare per non disturbare i clacson o i sibili delle ambulanze o l’auto della polizia all’inseguimento di qualcuno. Le nostre belle campagne non sono più verdi, sono diventate monumenti al cemento e gli alberi che profumavano l’aria, hanno lasciato il posto ai cartelloni pubblicitari. I campi di grano sono diventati cattedrali allo spreco e quei grossi ipermercati sono un drammatico shock per gli occhi. Guardo angosciata quei poveri sopravvissuti ciuffi d’erba e insieme a loro imploro pietà!