Lui un giorno le dice “ho paura di stare così bene con te perché ancora non abbiamo fatto l'amore quindi dopo starò anche meglio di così e non posso crederci che sia possibile”, lei sorride e non dice niente. E' ancora troppo presto per parlare d'amore, sono troppo orgogliosi e spaventati per riconoscerlo. Perché lei lo dice, lo dice sempre, io voglio lavorare nella moda, io voglio andare a Milano. E lui sorride, non dice niente. Lui ha dei momenti di down spesso, lei non capisce come mai, lei vorrebbe essere sempre soltanto quella che lo fa ridere, perché quando lui sorride c'è addirittura più pace nel mondo. Lei non capisce ma prova a stargli accanto, anche quando lui è depresso, quando è triste e non sa dire perché. Forse centra qualcosa un fatto successo molti anni prima, un incidente in moto e un fratello che non c'è più. Lei non ha parole per farlo stare meglio, ma ci prova. Però questi sbalzi d'umore cominciano a pesarle, perché se lui sta cambiando lavoro lei sta cercando di scrivere una tesi. E scrivere una tesi quando il relatore fa perdere le proprie tracce in Biellorussia non è semplice. Lui non capisce la sua tensione, lei non può preoccuparsi anche della sua candidatura che non avanza. Si prendono una pausa dallo stress, lei finisce la tesi, la consegna e bacia un altro. Lui procede con i colloqui, ormai è cosa fatta. Al giorno della discussione lui si presenta, quasi a sorpresa, lei esce con il 110, è il giorno più felice della sua vita. C'è tutta la sua famiglia alle spalle, mamma, papà e fratello. Tutti ad applaudirla mentre è vestita di bianco, ha un bouquet di calle tra le braccia e una coroncina di strass in testa. Quando se ne vanno tutti i parenti e gli amici rimangono da soli, lui la guarda negli occhi e le prende il viso tra le mani quando le dice che è fiero di lei. Lei scoppia a piangere. Tornano insieme, per qualche mese, ma è il periodo in cui lei comincia a fare colloqui a Milano: prima Karla Otto, poi Vivienne Westwood. Lui si allontana di nuovo, dice che la storia a distanza non può esistere. Lei tenta in tutti i modi di fargli cambiare idea, di provare questa strada almeno prima di dire che non fa per loro. Lui fa il vago tra il sì e il no, tra il vedremo e il mai più, lei cerca di tirare avanti ma lui si fa odiare e sparisce sempre più spesso. Fino a quando lei gli chiede di non cercarla più e lui le dice che così non si può più andare avanti. Lei torna a casa quel giorno e non riesce a mangiare. Sua madre la guarda mentre si siede sul divano e piange piegandosi su se stessa. Lei sente un dolore forte tra lo sterno e la bocca dello stomaco e quando piange lo fa in silenzio, come se inghiottisse le sue lacrime. Sente che le hanno strappato qualcosa da quel posto lì vicino allo sterno. Lui procede con la sua vita, con la sua carriera e lei cerca di fare lo stesso. Lui la cerca ancora ma lei cerca di fare l'arrogante, “se non mi vuoi cosa mi chiami a fare?”. Dopo una giusta pausa di qualche mese riprendono a sentirsi, lei è a Milano, sta cercando di realizzare i suoi sogni e lui cerca di fare lo stesso e lei, anche se non vuole, fa il tifo per lui. L'anno dopo, un sabato di luglio mentre lei stava andando a trovare una sua amica, lui la chiama. E' in uno dei suoi momenti di down, è triste perché sono passati 10 anni da quando suo fratello non c'è più. Lei lo coccola al telefono, ci prova, vorrebbe essere sul divano con lui a tenergli la mano e dirgli che è tutto ok. Che si può essere tristi anche quando fuori c'è il sole. Lei per tirargli su il morale gli fa sentire al telefono una canzone che aveva appena ascoltato e l'aveva piegata in due dal ridere, è “Picinin” dei Pitura Freska, picinin come si chiamavano tra di loro. Lui la chiama anche il giorno dopo, mentre lei è al lavoro e sta facendo la receptionist in uno showroom. E' ancora giù di morale, hanno fatto un torneo di calcetto per ricordare Salvo e lui è stato felicissimo di vedere che non è il solo a ricordarlo ancora a distanza di 10 anni. Lei gli consiglia di andare al mare, di stare al sole, che anche se ti senti triste il sole ti tira su il morale. Passa qualche ora e lei riceve una telefonata dal numero di sua madre e quando risponde la sente piangere fortissimo ma quella che parla è la zia “torna a casa che tuo fratello è morto” le dice. Le si gela il sangue, crede di aver capito male. Andrea? Com'è possibile? Dov'è cazzo era? A Fano? E che minchia ci faceva a Fano? E dov'è Fano? Io non so dov'è Fano! Un incidente con il paracadute? Ma non ha fatto i corsi? Non è mica la prima volta che si lancia? Perché il paracadute? Cos'è il paracadute? Dov'è Fano? Ma siete sicuri? Ma cosa vuol dire morto? Lei urla. E' in uno showroom e urla. Di sopra stanno vendendo l'AI 2007/8 di Dsquared e lei urla. Non capisce. Suo padre la chiama sul cellulare ma è troppo tardi, lei l'ha già saputo. Le danno dei calmanti ma non si calma. Le chiedono chi possono chiamare per venirla a prendere ma lei non conosce nessuno a Milano, la sua migliore amica era appena partita per New York quella notte. Poteva chiamare solo Giada. Giada la viene a prendere, ancora mezza assonnata, la porta a casa a fare la valigia. Valigia, treno, sciopero, Mestre. In tutto questo tempo lei cerca di chiamare lui perché lui è l'unico che può capire e può cercare di spiegare. Spiegamelo cosa vuol dire perdere un fratello più grande perché io non ci credo e non lo capisco. Lui non risponde, una, cento, mille volte. Quando risponde sta zitto. Lei voleva tenergli la mano quando lui stava male, lui sta zitto. Lei va ad Ancona da sola, solo con suo cugino, deve fare il riconoscimento. Quel volto in obitorio che si tatuerà in mente per tutta la vita. La stretta al braccio destro, dove la teneva suo cugino per timore che svenisse. Lei non sveniva, aveva solo mal di testa fortissimi, le danno l'En per calmarla. Torna su al Paesello, 5 ore di macchina fissando quella cassa di legno chiaro, coperta da un cuscino di rose bianche dei Paracadutisti di Fano. Lei in macchina cede al sonno, sogna che suo fratello è in ospedale con il gesso e le botte e gli dice “minchione mi hai fatto prendere uno spavento della madonna”, ma quando apre gli occhi il carro funebre è ancora lì davanti. Ai funerali la chiesa è stracolma, o per lo meno così è sembrato dalle foto dei giornali perché lei non si è girata a guardare la gente dietro di lei. Doveva reggere mamma e papà, la prima di una lunga lista di cose che d'ora in poi avrebbe dovuto fare sempre da sola. Lui c'era, da qualche parte, nascosto nella folla. Lei l'ha visto solo dopo, al cimitero, quando è cominciato lo stillicidio delle condoglianze. Lui non ha aspettato che lei dicesse nulla e l'ha abbracciata. E lei lì si concessa di piangere più forte. Davanti a tutti, si è schiusa in quell'abbraccio. Un mese dopo lei torna a Milano, è così che deve andare. Lui la chiama di tanto in tanto ma quando lei prova a spiegargli come sta, lui cambia discorso. Devi farti forza non funziona quando sogni che la realtà è un sogno. Lei lavora, si butta, si getta in qualsiasi cosa che possa farle del male, sesso, droga e farmaci. Poi arriva il lavoro dei sogni, quello che aspettava da tanto. E piano piano sfuma il resto. Lui e lei si sentono ancora, anche lui ha lasciato il Paesello per seguire i suoi sogni e adesso è a Roma. Qualche volta la va a trovare a Milano ma è sempre per il tempo di un pranzo veloce, il tempo di chiedersi “come stai?” senza concedersi il tempo di rispondere “io non sto bene”. Passano gli anni, fanno carriera entrambi. Lui da Roma lo spostano a Firenze, lei rimane fissa a Milano ma cambia azienda, stavolta è arrivata nella Moda, quella vera, quella che si vede sui giornali. Sia lui che lei, come anni prima si erano detti a quell'aperitivo, sanno che un giorno torneranno a casa, al Paesello, perché nella provincia si sta bene ed è lì che si vuole mettere su famiglia. Quando si sentono si promettono grandi fughe d'amore in giro per l'Europa ma non prenotano mai nessun biglietto. Fanno lunghe telefonate e lunghe chat. Lui si mette con altre donne, lei con altri uomini. Ma hanno i loro momenti, quei giorni dell'anno in cui è inevitabile pensare l'uno all'altra. Il 21 e il 22 luglio sono le loro date, sono le date in cui sono morti. Non sono morti solo i fratelli a distanza di dieci anni l'uno dall'altro, sono morti anche lui e lei. E a settembre poi, perché per sopportare una della Vergine solo se sei della Vergine lo puoi fare. Al 30 Novembre, a Sant'Andrea, perché anche il nome di lui pare che sia non sia stato scelto a caso. E infine a Natale, la resa dei conti per quelli come loro, quei giorni di merda che non muoiono mai, anche se dovrebbero. All'ultimo Natale, lui le aveva detto che stava con una. Era la prima volta che glielo diceva. Da quattro anni dice. Con una che sta al Paesello. Mentre lui stava a Firenze. Una storia a distanza, quindi? Sì, una storia a distanza. Per lei è umiliante perché evidentemente la storia a distanza per lei non era abbastanza. Come fanno le persone adulte gli chiede: “Sei felice?”. Lui fa una pausa, sta per rispondere ma lei lo ferma. “Fa niente, hai già risposto”. Lei gli chiede se si ricorda ancora la Magia del Latte. Quella cosa che sapevano solo lui e lei. Lui le risponde che si ricorda ogni singolo giorno di quei mesi. Lei piange, ma lui non lo sa. All'ultimo compleanno di lui lei gli chiede “sei felice?”, lui risponde di sì. E' felice. Lei pensava che fossero entrambi condannati all'infelicità, perché per loro è andata così. Perché o si è felici dall'inizio o non lo si è mai più e la loro vita era stata già segnata dal dolore. Quello grosso. Perché ci sono persone destinate ad essere felici e persone destinate a non esserlo e lei sapeva di far parte di quest'ultima categoria. Con lui era stata così felice da sentirsi per la prima volta completa. “E' così che si sentono gli innamorati? Hanno questo motore nel culo tutti i giorni?”. Lui era quello dal quale lei andava a sventolare il libretto all'uscita dagli esami, lei era quella che lui chiamava per parlare della gestione del suo nuovo negozio. Una volta, da quanto erano presi a parlare di lavoro, un amico di lui aveva pensato che fossero anche colleghi oltre che fidanzati. Erano complici in quel modo in cui solo due innamorati sanno essere, in quel modo che ci si legge i pensieri senza aprire bocca e uno sguardo è una risposta.
Lui è felice. Era giunto il momento di farsi da parte per lei, c'era un'altra donna e lui era felice. Lei scompare, ha la sua vita. Zoppicante, piena di nulla e piena di tutto, piena di sogni vuoti e comodini senza cassetti. Poi un giorno, complice Facebook, lei scopre una cosa. Una cosa futile, una di quelle cose che lei si vergogna a dirla pure alle sue amiche da quant'è stupida. Ma è un pretesto per avercela con lui e per odiarlo. E allora sì, diamo fuoco a tutti i ricordi, “tu per me sei morto, non esisti più Andrea”, ha rovinato tutto. Non solo lei dovrebbe odiarlo per tutte le merde pestate negli ultimi sei anni, ma anche e sopratutto per aver rovinato uno dei ricordi più belli che lei porta nel cuore. Quella sensazione, quella complicità, quel linguaggio che solo loro capiscono. Che si brucino i ricordi, i sogni insieme, i progetti mai realizzati, l'essere predestinati, quella cosa che miofratelloetuofratellosonoinsiemeeciguardanoeciprendonoancheunpoperilculo, quella cosa che tu ti chiami come lui e io m chiamo come boh, tua madre. Coincidenze, nient'altro. Lei è sollevata, può smettere di volere, più smettere di sperare, non è The One, si era solo sbagliata. Grazie, pensa lei, adesso almeno ho smesso di sperare. Perché sei un Merda, hai rovinato tutto e io non ti vorrò mai più rivedere. E quando ti rivedrò io sarò vecchia e tu sarai vecchio e nemmeno ci riconosceremo. Ma quella volta sarà troppo tardi e tutto questo sarà passato. Lui non si rassegna e la cerca, per sei fottuti mesi. Le chiede cos'ha fatto. Lei non risponde mai, una, dieci, cento volte. Poi capita che dopo tutti quei mesi lei vede squillare il telefono e decide di rispondere. Lei nel frattempo si è resa conto che il motivo per il quale si era incazzata non esiste, era un film nella sua testa ma si vergogna ad ammetterlo. A lui poi. Si vedono, si prendono un caffè. Sono passati due anni dall'ultima volta. Bastano cinque minuti e cinque sguardi e nessuno è più incazzato. Lui ha comprato casa. E' diventato grande. Parlano per tutto il pomeriggio, si abbracciano, si tengono la mano come se non fosse passato un minuto dall'ultima volta. Lei chiede ancora “Sei felice?”, lui è titubante, tornare al Paesello non è semplice per quelli come me e te, dice. Vedi che gli amici sono ancora dove li hai lasciati, oppure sono molto avanti, ma non sono di certo dove sei tu. Lei lo capisce, come sempre. Si rivedono la sera, c'è la stessa magia di quella prima volta al centro commerciale, si parlano nello stesso modo, hanno lo stesso codice, si capiscono ancora senza parlare, ridono come due scemi. Si finisce a casa di lui perché finalmente c'è una casa nella quale non si ha il timore di venire scoperti. Lui lo sa, lei lo sa anche meglio visto che ha le gambe lisce come seta. In camera da letto non si fa nemmeno in tempo ad arrivare. Fanno l'amore. Perché tutto è cambiato mentre nulla è cambiato. Gli odori non sono cambiati, il tocco non è cambiato. Il respiro non è cambiato. Dopo che tutto è finito sembra di essere tornati alla realtà: che minchia è successo negli ultimi sei anni se siamo ancora qua? Non si parlano, si addormentano l'uno sull'altra. Lei sul bbm dice alla sua amica, preoccupata più per l'incolumità del suo cuore che del suo fisico, “tutto a posto, sto andando a casa”. Si salutano, un bacio sulle labbra come se fosse normale rivedersi il giorno dopo, magari per colazione, magari per pranzo. Invece no, lei il giorno dopo è su un treno, ascolta Adele perché vuole farsi del male. Deliberatamente. Vuole farsi del male come quando hai una crosticina sul braccio e insisti con l'unghia a volertela togliere. Lei cerca di piangere perché Adele esiste per quello. Ma non piange. Lui è a casa, quasi sicuramente in depressione domenicale. Con tutta probabilità si sta facendo le stesse domande e si sta dando le stesse risposte. “Non può funzionare”. Lei in quattro ore usa tutte le risorse mentali a sua disposizione per creare degli scenari immaginari. Usa tutte le sue conoscenze, da Big e Carrie a Elizabeth e Marc Darcy. Da “Harry ti presento Sally” a “Romeo + Juliet”, da “Pretty Woman” a “La verità è che non gli piaci abbastanza” all'intera discografia dei Negramaro passando attraverso Ella Fitzgerald e Someone Like You. Quattro ore e nemmeno una via d'uscita. Quattro ore e nemmeno un'idea di come si potrebbe farla funzionare. Sono sei anni e ancora ci sono i 400 km di distanza. Ma forse non è quello il problema. Il problema è che lui parla di Alessandro e Giorgia e lei di Leonardo ed Annasofia. Lui ha Salvo, lei ha Andrea. Lui ha un tatuaggio sul braccio, lei ha Andrea sul piede. Lui ha comprato casa, ha due stanze. E' una vita che va avanti mentre lei aspetta che succeda qualcosa. Lei è legata alla città di Milano, perché ha lasciato tutto per realizzare i suoi sogni. Sogni vuoti adesso, ma non lo dice ad alta voce. Eppure in quei sei mesi lei stava bene all'idea di esserselo buttato alle spalle, era sollevata al pensiero di non averlo più nei suoi Bei Ricordi, pensava fosse finita. Forse lo è. Sì, è finita. Dovevo solo scriverlo per rendermene conto. Buonanotte, fate bei sogni.