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Questione di feedback

Creato il 23 gennaio 2014 da Media Inaf

I risultati di un progetto di simulazioni al calcolatore individuano nei venti supergalattici prodotti da stelle ed esplosioni di supernovae il principale responsabile della discrepanza tra la massa teorica e quella realmente rilevata nelle galassie medio-piccole. Il commento di Pierluigi Monaco (INAF).

di Marco Galliani Fotogramma di uno dei video della simulazione FIRE che mostra la distribuzione del gas in una galassia. In color magenta è rappresentato il gas atomico e molecolare freddo da cui si formano le stelle, in verde il gas ionizzato e in rosso quello molto caldo che va a costituire l'alone galattico. Crediti: Philip Hopkins/Caltech

Fotogramma di uno dei video della simulazione FIRE che mostra la distribuzione del gas in una galassia. In color magenta è rappresentato il gas atomico e molecolare freddo da cui si formano le stelle, in verde il gas ionizzato e in rosso quello molto caldo che va a costituire l’alone galattico. Crediti: Philip Hopkins/Caltech

Se c’è una cosa che ci ha insegnato l’astrofisica, al di là degli spettacolari risultati che ci stanno rivelando come è fatto e come funziona il nostro Universo, è quella di non dare mai per scontato niente, anche quello che potrebbe apparire intuitivo. Un esempio su tutti: fino a qualche decennio fa ritenevamo che la materia dell’universo fosse tutta e sola quella presente nelle galassie e nel gas intergalattico, per poi renderci conto che in realtà quella materia ‘ordinaria’ (la stessa per capirci di cui siamo fatti anche noi esseri umani e che in gergo tecnico viene definita barionica) vale appena il quattro-cinque per cento di tutta la massa ed energia dell’universo. Il resto, per ora, ci è oscuro.

Limitiamoci allora alla materia ordinaria o barionica. Dove sta la maggior parte di essa? Beh, anche a questa domanda sembra facile, perfino elementare dare una risposta: sarà sicuramente concentrata nelle stelle che popolano le galassie. Ma, ancora una volta, l’apparenza inganna. Le osservazioni concordano ormai nell’attribuire alle stelle solo un misero dieci per cento di tutta la massa che compete alla materia ordinaria.

Dove si trova allora il resto? E soprattutto, perché la maggioranza della materia ordinaria non è all’interno delle galassie? A questo secondo interrogativo dà risposta, o meglio, suggerisce una possibile risposta l’articolo (in pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society) basato sui risultati del progetto FIRE, il cui primo autore è Philip Hopkins, astrofisico del California Institute of Technology. FIRE sta per Feedback In Realistic Environments, ovvero retroazione in ambienti realistici: è un progetto di simulazioni al calcolatore, frutto di una lunga e articolata collaborazione tra università e istituti di ricerca, che ricostruisce l’evoluzione delle galassie dal Big Bang fino ai giorni nostri.

Ciò che emerge dalle simulazioni condotte con FIRE è il decisivo contributo della radiazione prodotta dalle stelle nelle galassie, che riuscirebbe a produrre dei veri e propri super-venti in grado di spazzare via una grande quantità di massa – sotto forma di gas e polveri – dalle galassie stesse.

“Abbiamo ha capito da tempo che la ‘fisica mancante’ nei modelli teorici di evoluzione galattica è quella che noi chiamiamo retroazione (feedback) dalle stelle”, dice Hopkins. “Quando le stelle si formano, dovrebbero avere un impatto decisivo sulle galassie che le ospitano: con la radiazione che emettono, i venti che producono e le loro esplosioni come supernovae. Prima non è stato possibile seguire direttamente ognuno di questi processi all’interno di una galassia. Quindi i modelli precedenti stimavano semplicemente e in modo indiretto l’impatto di tali effetti”.

Integrando così i dati relativi anche a questi fenomeni prodotti dalle singole stelle nei modelli che seguono l’evoluzione di una galassia nel suo insieme, il team è riuscito a ricostruire gli effetti della retroazione stellare sulle galassie in una limitata porzione di universo, un ideale cubo il cui spigolo si estende per qualche milione di anni luce, osservando come la radiazione delle stelle e le esplosioni di supernova allontanino massa dalla galassie, ridefinendone la loro stazza, che risulta così in buon accordo con le osservazioni. Ma poi che fine fa la massa sfuggita alle galassie? “Questa è una buona domanda”  prosegue Hopkins. “Stelle e supernove sembrano produrre questi super-venti che danno origine al materiale circumgalattico e intergalattico. Questi risultati arrivano proprio al momento giusto perché ci sono un sacco di nuove osservazioni di questo materiale. Ad esempio, è stato recentemente scoperto che c’è una maggiore quantità di elementi chimici pesanti in zone distanti circa 200.000 anni luce da una galassia di quanta ce ne sia al suo interno. Poiché questi elementi vengono prodotti dai meccanismi di fusione nucleare nelle stelle, in passato dovevano trovarsi all’interno delle galassie. Un risultato in sintonia con le indicazioni delle nostre simulazioni: ora possiamo così iniziare a studiare dove si sta spostando questo materiale”.

Va comunque sottolineato che le simulazioni di FIRE sono adatte a spiegare l’evoluzione di galassie di taglia medio-piccola, ma non a ricostruire la perdita di massa in quelle molto massicce. In questo caso entrerebbe in scena un altro attore nel ‘dimagrimento’ delle galassie, ovvero il buco nero supermassiccio presente nel loro centro (su Media INAF ne avevamo recentemente parlato in questa news).

“L’articolo di Hopkins rappresenta un’interessante proposta sul meccanismo responsabile per la creazione dei ‘venti supergalattici’, necessari a spiegare il numero e le caratteristiche delle galassie nane” commenta Pierluigi Monaco, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste. “Molti altri gruppi stanno lavorando su questo tema, fra questi anche il nostro gruppo di cosmologia numerica di Trieste. C’è una differenza di metodo: da una parte, il gruppo di Hopkins, così come altri, cerca di spingere al massimo la risoluzione numerica delle simulazioni; il nostro approccio invece è quello di modellare con cura l’effetto della retroazione (feedback) da parte delle stelle molto massicce nel momento in cui si lavora a risoluzione relativamente meno spinta. Il vantaggio è quello di evitare tutta una serie di problemi numerici e di riuscire a produrre simulazioni non di singole galassie ma di interi volumi di universo, in modo da potere avere una base statistica.  Però, per fare l’avvocato del diavolo, la fisica della formazione stellare e della sua retroazione sulla galassia è ancora poco nota, la comprensione dettagliata dei meccanismi che regolano la formazione delle galassie richiederà ancora del tempo”.

 

Per saperne di più:

  • l’articolo Galaxies on FIRE (Feedback In Realistic Environments): Stellar Feedback Explains Cosmologically Inefficient Star Formation di Philip Hopkins et al. in pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani



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