Magazine Arte

"QUESTO è IL MIO CORPO" Incontro con gli artisti GIOVANNA LACEDRA e NICOLA FORNONI a cura di Mona Lisa Tina e Stefano Ferrari

Creato il 01 marzo 2016 da Roberto Milani

VENERDI 4 MARZO ALLE ore 16.00  Università degli Studi di Bologna  presso l'Aula 6 del Dipartimento delle Arti, Complesso di Santa Cristina,  Piazzetta Morandi 2, BOLOGNA
"QUESTO è IL MIO CORPO"
Incontro con gli artisti  GIOVANNA LACEDRA eNICOLA FORNONI   che presenteranno il proprio percorso artistico-performativo agli studenti e al pubblico che vorrà liberamente partecipare. Ingresso gratuito.
 L'appuntamento è all'interno delQUARTO CICLO DEGLI INCONTRI SUL CONTEMPORANEOorganizzati e curati daMona Lisa TinaeStefano Ferrari in collaborazione con PsicoArte il Gruppo di Psicologia e Arte Contemporaneadella International Association for Art and Psychology - Sezione di Bologna.
QUESTO E’ IL MIO CORPO: L’ESTETICA DEL DONO NELL’AZIONE PERFORMATIVA.
“Prendete, questo è il mio corpo”
Giovanna Lacedra (Venosa [PZ], 1977) e Nicola Fornoni (Brescia, 1990) sono due artisti visivi che hanno scelto il corpo come strumento e linguaggio, come mezzo espressivo e narrazione. Il corpo come voce, capace di veicolare più messaggi attraverso l’azione comportamentale e la performance. Per entrambi l’azione performativa – seppur studiata, progettata, organizzata, pianificata e provata – è sempre esperienza autentica. Secondo Giovanna Lacedra la performance non è mai finzione, èpiuttosto un momento di verità donata attraverso l’azione. Similmente, Nicola Fornoniconsidera la performance come un evento della vita; un minuto, un secondo, un attimo che può essere la vita stessa. Partendo da questa comune visione, il corpo non può che essere sentito, vissuto, donato come vero e reale, nella carne e nelle emozioni. Durante un’azione il corpo è tutto ciò che l’artista è ed è tutto ciò che l’artista ha da offrire. L’azione è quindi il solo modo che l’artista ha per donarsi all’altro, mettersi in relazione con l’altro, arrivare all’altro, ed infine, diventare “l’altro”. Un corpo che entra in connessione, che diventa corpo del fruitore, quando questo è empatico. Un corpo che diventa innumerevoli corpi dal momento che esplicita, denuncia, confessa questioni che, pur avendo una radice autobiografica, riguardano la collettività. Il vissuto personale viene esposto e universalizzato. Diventa anche esperienza dell’altro. Il corpo agisce spogliando una verità dal silenzio in cui era relegata. Si offre come materia di quella verità. “Questo è il mio corpo” è certo una nota frase liturgica. Nel Vangelo secondo Matteo, Cristo la pronuncia mentre spezza il pane per “offrirlo”. E quel pane allora non è più semplice cibo: è dono, sacrificio, è offerta di sé. “Prendete, questo è il mio corpo”. Prendetemi. Prendete la parte di me che vi offro. Il corpo che sacrifico per voi. Ma “questo è il mio corpo” può anche essere un’affermazione di sé. L’attestazione della propria presenza, della propria consistenza, della possibilità di essere e di esserci nel modo in cui si è, nella carne di cui si è fatti, nell’apparenza che ci rende visibili, nella sostanza che ci restituisce all’altro come toccabili e appetibili. Nella forma, appunto, in cui si sta. Ti mostro il mio corpo, per mezzo di lui ti racconto chi sono. Per mezzo di lui riceverai un po’ di me e scoprirai un po’ di te. Come un testo, espongo il mio corpo e il suo agire perché tu possa comprendere e scoprire ciò che ti attraversa, mediante ciò che ha attraversato me. Perché il corpo è un bicchiere che contiene il mare. E lo confina per poi poterlo, goccia a goccia, elargire.
Giovanna Lacedra, partita da una formazione artistica accademica, grafica e pittorica,ha iniziato ad usare il corpo come linguaggio nel 2011, partecipando a progetti performativi di altri artisti, fino al giorno in cui ha considerato la propria personale esperienza come serbatoio al quale attingere. L’autobiografismo si è fatto partenza di un percorso intimo, spirituale e artistico. Ma anche tattile e corporeo, dal momento che da un corpo – il suo – che aveva per anni martirizzato, è poi ripartita, per creare. Perché alla fine di ogni storia, è nella ferita che si va a cercare la vita più profondamente, per trasformare in risorsa ciò che ci aveva nientificati. Il corpo risorge e dimostra di essere “questo corpo” ovvero “questa vita”. È cosi che nasce Io Sottraggo, la prima performance ideata, scritta e portata in scena da Giovanna Lacedra in musei, gallerie d’arte, fiere e spazi espositivi per ben 14 tappe sino a giugno 2015. Una performance-confessional completamente autobiografica sulla patologia anoressico-bulimica, sull’ossessività autistica che inquina e nullifica la vita, l’anima, le relazioni di chi ne è vittima, portando il corpo all’autoannientamento, ad un’invisibilità che in troppi casi porta alla morte. E tutto questo per gridare e presentificare il vuoto che ci divora da dentro. “Questo è il mio corpo” sibila l’artista all’orecchio di ogni visitatore, quando gli si avvicina con una forma di pane sbrandellata e scavata. Quella forma di pane rotta, svuotata della sua mollica, è ciò che resta di una feroce crisi bulimica inscenata pochi minuti prima durante la performance. Perché il corpo di un’anoressica-bulimica è il risultato di una devastazione, ed è spaccato, svuotato, lacerato, esattamente come il pane che divora e poi rifiuta. Il pane è il corpo dell’anoressica-bulimica affamato d’amore ma sbranato dalla sua stessa fame. E allora prendete, prendete e mangiatene tutti. Prendete e mangiatemi tutti. Questo è il mio corpo: ciò che resta di me. Io Sottraggo è una performance completamente autobiografica, in cui uno specchio, una bilancia (la vera bilancia sulla quale l’artista ha per lunghissimo tempo pesato il valore della propria vita) le foto del suo corpo nudo nel periodo più grave dell’anoressia e le 100 pagine dei suoi diari personali, costituiscono l’istallazione-scenario in cui avviene l’azione, per una durata di circa 30 minuti. Giovanna Lacedra ha usato il proprio corpo, esposto in carne viva e nuda verità, per narrare di una patologia che l’ha personalmente riguardata, ma anche per presentificare una fame più grande e che non attanaglia soltanto chi cade nella trappola dei disturbi alimentari. La fame d’amore, di contatto, di autentica accettazione di sé e dell’altro è infatti il fil rouge che lega tutti i suoi progetti performativi, dall’Aspirante, in cui il corpo presentifica l’alienazione dettata da una sudditanza in luogo di una relazione amorosa, a Come il mare in un bicchiere in cui il corpo somatizzante è la gabbia stessa di un’anima incapace di fluire verso la vita.
Nicola Fornoni parte dal presupposto che ciò che siamo dipenda dal rapporto che instauriamo con noi stessi e con l’altro. Da tre anni lavora in ambito performativo e visivo e durante questo periodo ha vissuto una forte evoluzione nella percezione di sé e del proprio corpo, sia da un punto di vista concettuale che estetico, esperendo una sorta ditrasformazione da bozzolo in farfalla. Non a caso la sua prima performance si intitolava “Rinascita”. Rinascere per Nicola è un passaggio fondamentale della sua evoluzione spirituale e umana. La sua particolare condizione lo ha più volte portato a rasentare la morte per cause diverse. Ha dovuto sentire il proprio corpo in maniera particolarmente intensa. E certamente, dopo il frangente più nero e spaventoso, le ceneri hanno visto riaffiorare una fenice. “Questo è il mio corpo”è allora la dichiarazione di un corpo che vuole ri-manifestarsi e rinascere, anche allo sguardo dell’altro. Non è quindi casuale l'introduzione, nelle azioni performative, di materiale ospedaliero, test clinici, sostanze organiche. Ad esempio, in Aritmia la variazione dei battiti cardiaci viene vissuta come variazione all'interno di una composizione e segnalata dal monitoraggio di elettrocardiogrammi. La macchina legge ciò che il corpo dice, ma può decifrarne le emozioni? Tutti questi elementi introdotti vanno, però, letti ad un altro livello: sono metafore che vogliono ricondurre il fruitore a vibrazioni spirituali, più intime. Nicola è consapevole del fatto che il suo corpo ha un'estetica piuttosto definita. Visivamente, questa estetica potrebbe essere riconducibile all’idea di stigma. È un’estetica che rischia di essere stimmatizzata. E per questa ragione, nelle sue azioni c'è sempre la volontà di ricerca di un perfetto equilibrio tra diversità e bellezza, particolarità e dolcezza, durezza e delicatezza. Le tematiche del desiderio, del bisogno, della necessità di godimento si intrecciano con quelle della sofferenza, del dolore, del limite e della barriera. Il nostro corpo è sacrificio per l'altro e per noi stessi. “Questo è il mio corpo” , ovvero, tutto ciò che posso donarti. Questo corpo è tutto me stesso. È portatore del mio vissuto ingombrante. E lo offro con sacrificio e passione. Nicola utilizza anche il sangue nelle sue performance. Ma il suo utilizzo non è sempre ricondotto alla sofferenza, così come gli aghi, che non sono da lui concepiti come strumenti masochistici bensì come simboli di un passaggio – trasfusione – tra esterno ed interno o interno ed esterno. Nella performance In vino veritas, ad esempio, un prelievo di sangue fatto a Nicola e alla sua partner sancisce un legame indissolubile nel tempo, un dono vitale. Il passato non si dimentica. Rimane ci turba, ci segna, ci schiaccia. Eppure l’arte – e il corpo nell’arte – è li per raccontarlo e sublimarlo Sia Giovanna Lacedra che Nicola Fornoni, partono dal proprio corpo e dal proprio vissuto per giungere ad elaborare le azioni performative che portano in scena. Le tracce mnemoniche incise nella carne sono il solo percorso da seguire per arrivare all’altro e parimenti a se stessi.
Testo di Giovanna Lacedra e Nicola Fornoni

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog