
Glielo incarto come regalo?, gli chiede il commesso.
No, questo è per me, risponde Gerd Wiesler.
È così che l'ex capitano (Hauptmann) della Stasi, col volto e la presenza di uno straordinario Ulrich Mühe, prende infine possesso della sua vita, dopo aver vissuto, spiandole, e riportandole per iscritto, quelle degli altri. Il titolo italiano dell'indimenticabile film di Florian Helckel von Donnersmarck moltiplica appunto l'indefinito tedesco Das Leben der Anderen, ovvero "il vivere degli altri", colto nella sua fluidità, nel suo magmatico incontrarsi e rifluire in quello altrui. Quelle onde, correnti e risacche del nostro quotidiano che vengono registrati sotto forma di numeri all'Istituto di Statistica della DDR, per essere poi celati all'occorrenza: numero di amplessi, di scarpe comprate e di libri letti. Tutti ciò che si può sapere, tutto ciò che conta, di un uomo sono i numeri.

In tutto il film, ricercatissimo nella fotografia e nelle inquadrature, la vita è sempre quella degli altri, è quella su cui si avanzano pretese, illusioni, piani, progetti, su cui si stendono come maceti i piani di un Partito e di un bene che è solo l'interesse personale dei tesserati più potenti.

Si potrebbe dire che buona parte del film è prevedibile, ma questo è un po' il "difetto" delle dinamiche storiche e sociali che conosciamo troppo bene e troppo facilmente ignoriamo. Si potrebbe anche opporre che buona parte delle ragioni profonde del comportamento del Capitano Wiesler e dello stesso scrittore rimangono ignoti e, in buona parte, inspiegabili. Vero, ma proprio così il film guadagna il suo respiro più autentico. A loro modo, sono tutti atti che vengono registrati dalla DDR e poi studiati: nelle ultime scene del film le parti si invertono e sarà Georg Dreyman a spiare retrospettivamente la vita di HGW XX/7. Il piccolo miracolo che compie la sceneggiatura sta proprio nel fatto che, nell'inversione dei ruoli, ciascun personaggio conferma la sua natura e la sua umanità, continua il tentativo di comprendere tutto attraverso i suoi strumenti, ma si appropria di questa ricerca ricostruendo quel che è accaduto, di ciò che accadrà.
È nel dire Questo è per me che si chiude, col film, la vita degli altri e comincia quella che non può più essere raccontata.