Magazine Cultura
Questo è un brano dal libro“A 5405 Il coraggio di vivere”
Monti Edizioni, Varese 2003
di Nedo Fiano
Esposti inermi al freddo, alla fame, alla violenza, agli SS e ai loro cani assassini, al fango e alla pioggia, eravamo tutti candidati ad una morte precoce. Politici, musicisti, scrittori, contadini, militari, sacerdoti, gente comune, zingari, omosessuali, mendicanti, prostitute, alcolizzati, persone affette da malattie veneree e testimoni di Geova, tutti condividevano le nostre pene e il nostro destino, anche se spesso in termini e in misura diversi. Un mondo di miseria, di sporcizia, di fame e di terrore ci assediava senza requie: il nostro corpo doveva far fronte ad una vita fisica e psichica devastante. E non sempre era vincente. Anzi. Posseduti contemporaneamente da tante emozioni violente, non eravamo più noi stessi, ma il prodotto di un mondo da incubo, irreale, i cui fili erano tenuti dagli SS. Molti di noi erano trasformati da questa lotta senza quartiere in violenti, ladri, vili e traditori. Altri, invece, riuscivano a mantenere saldi i propri principi. Per sopravvivere era essenziale avere un lavoro in qualche modo privilegiato. (…)
La nostra vita era sempre in pericolo. Si poteva morire per il sadismo di un SS, per un ordine eseguito in ritardo, per una punizione senza ragione. Ammalarsi, però, era il timore di tutti: un Häftling malato era condannato alla camera a gas. Sul lato nord, a fianco del Campo degli zingari e del Kanada, fra i crematori III e IV, c’era a Birkenau il Krankenbau, un complesso di quattordici baracche destinate ad ospitare circa duemila prigionieri ammalati. Lì, forse, portarono mio padre esausto e ridotto a pelle e ossa. Esito a chiamarlo ospedale, in quanto era piuttosto un luogo di orrore, l’anticamera delle Camere a gas, che emanava un tanfo orribile di escrementi e corpi in decomposizione. Insomma, una vera e propria area della morte. Raramente accadeva che i prigionieri ricoverati nel Krankenbau ritornassero nel Campo principale. Infatti ogni trasferimento aveva un’unica destinazione, la morte per gas. La dissenteria, seguita dal tifo, era tra le cause principali di mortalità. Poi c’erano fratture agli arti procurate da percosse, ferite al cranio e infiammazioni polmonari. Non erano disponibili né medicinali, salvo 10/15 compresse di Aspirina per 800/900 ammalati, né bendaggi, sostituiti dalla carta igienica. Gli infermieri più attivi riuscivano talvolta a procurarsi medicinali, promettendo a chi glieli forniva di aiutare qualche specifico ricoverato. C’era frequentemente la possibilità di trovare qualche medicamento al Kanada. Talvolta i medici si adopravano per trafugare medicinali dall’ospedale riservato agli SS. Nascondevano ammalati e debilitati falsificando con grande rischio cartelle mediche e occultavano prigionieri condannati al Crematorio. Naturalmente potevano salvare solo un numero limitato di persone, e il problema più drammatico era quello di scegliere chi aiutare fra le centinaia di condannati. Era una posizione molto difficile, e il grande eroismo di quei medici fu condotto con determinazione nel nome della loro deontologia professionale. Nel Krankenbau venivano effettuate periodiche selezioni soltanto tra gli ebrei – i paria del Lager – per mandarli a morire. Il terrore era costante, perché nessuno – malato, convalescente o guarito – poteva considerarsi al riparo da quel rischio estremo. Mengele aveva qui la Baracca 15 dove eseguiva i suoi satanici esperimenti su bambini gemelli, mentre in altre baracche venivano fatte sperimentazioni di ogni tipo sui prigionieri, soprattutto a fini militari (…)
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