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Questo è un coltello

Creato il 05 maggio 2014 da Elgraeco @HellGraeco

John_Jarratt

Quando vedo John Jarratt vedo il buon Terry Dodge, il vaccaro non protagonista de Le Sorelle McLeod, ma anche il giovanotto che ritrova una delle ragazze scomparse ad Hanging Rock. Jarratt è, cinematograficamente, un pezzo d’Australia.
Musica…
Ieri ero alle prese con Wolf Creek 2. Già nel primo Wolf Creek, non avevo potuto fare a meno di notare la battuta del coltello…
Furbo, il nostro Greg McLean (regista di entrambi i capitoli), a richiamare un altro personaggio e un mito australiano: Mick “Crocodile” Dundee.
Mick Taylor, l’assassino di Wolf Creek, ha lo stesso nome di Mick Dundee. In un certo senso è un “buon” selvaggio, esattamente come il secondo. Usa lo stesso coltello, giringira per il bush, a caccia di maiali (che credo lui associ ormai completamente agli esseri umani) come l’altro cacciava (di frodo) coccodrilli, per farsi il paio di stivali. Lui è di Wolf Creek, il Coccodrillo invece è di Giringiro Creek. Vestono entrambi un cappellaccio.
È come se avessero preso Mick Dundee e l’avessero fatto diventare uno psicopatico affamato di carne umana.
Negli anni Ottanta, l’Australia risorgeva dal dimenticatoio mondiale, confinata in un universo parallelo sul quale si favoleggia, a fin troppe ore di volo per prendere in considerazione l’idea di visitarla una seconda volta, e lo faceva con l’Uomo Coccodrillo, il selvaggio in visita nella giungla metropolitana di New York, a combattere la cattiveria con l’ignoranza e la bontà d’animo e l’amore.

Poi qualcosa è cambiato.
Che l’Australia sia un microcosmo pieno di animali pericolosi per l’uomo è cosa nota. Che questo volontario esilio, visto che protegge i suoi confini meglio della Svizzera, abbia reso la cultura australiana un po’ autoreferenziale e conservatrice, be’, è una cosa alla quale si può raggiungere con un po’ di ragionamento. Non è una critica, è uno stato di cose logico.
La trovata singolare di questi personaggi armati di coltello è che come il primo, buontempone, Mick, esportava una cultura desiderosa di presentarsi al mondo come rustica ma simpatica e brillante, il secondo, rozzo e sporco, Mick, sempre armato di coltello, non esporta nulla, ma quel coltello te lo infila nella schiena, e difende, aggressivamente, il suolo australiano dallo straniero, che viene a scagazzare in giro nel bush.
Non fa una piega.

“That’s a knife”

Guardavo l’altro giorno un documentario sull’effetto serra. Intere regioni del sud dell’Australia, che fino a una decina d’anni fa incentravano la loro economia sull’agricoltura e sull’allevamento di bestiame, sono state mangiate dal deserto, che ha prosciugato i pozzi d’acqua, donando a quei paesaggi uno stile, ora più che mai, richiamante a Mad Max e alle corse lungo le arterie stradali in un mondo apocalittico.
In Wolf Creek 2 c’è, oltre alla scena meno politicamente corretta che abbia avuto il piacere di vedere negli ultimi mesi, quella del “volo” dei canguri, una strana sequenza in cui il Mick di Jarratt tortura la vittima di turno sottoponendolo a una sorta di quizzone: dieci domande dieci sulla storia dell’Australia. Se il concorrente risponde correttamente ad almeno cinque di esse, Mick lo lascerà andare, salvandogli la vita, altrimenti, oltre alla vita gli mozzerà tutte le dita.
Interessante, da un certo punto di vista, e che si riallaccia alla riflessione in esame, è che la storia dell’Australia venga imposta a un inglese (e in quanto a xenofobia… Mick, poco prima, ha fatto fuori un tedesco massacrandolo di botte), pena la morte. L’ignoranza si paga… con la vita.
Xenofobia, odio per gli inglesi (i pommies) che riversarono in Australia i galeotti delle loro carceri, avendo perso la guerra con gli Stati Uniti (altrimenti li avrebbero scaricati in Virginia), e il saltellare, forse con una vena satirica ma estremamente sadica, del regista McLean intorno a quello che appare essere il problema di sempre: l’isolamento culturale.

“This is a knife”

Mick potrebbe essere personaggio ironico: l’autraliano tipico che difende i valori della patria dalla contaminazione straniera (come fanno in Airport Security, che se ti porti in valigia a Sidney un alimento sospetto ti sequestrano tutto e ti sterilizzano coi raggi gamma, pure a te), e che lo fa massacrando i viandanti.
L’interrogazione scolastica di Mick alla sua vittima, sulla storia dell’Australia, (un paradosso che poi Mick vada a beccare l’unico inglese specializzato in storia australiana) un modo per ricordare un messaggio universale: che la cultura salva davvero la vita, al di là del ritrovarsi sequestrati da un serial killer sanguinario…
Ma non posso dimenticare davvero che Mick di Jarratt è il punto d’arrivo, quasi quarantennale, di un personaggio, di un genere e di un’indole. E forse di un continente.
Prima l’Australia riferiva di se stessa richiamando turismo nelle zone impervie, tanto c’era gente come Mick Dundee che ti salvava le chiappe dagli alligatori. Ora richiama il turismo (ché c’è da scommettere che al Wolf Crater il turismo, dopo due film, sia aumentato) con un messaggio del tipo: venite qui a vostro rischio, potreste sparire come quel 10% di viaggiatori che, di anno in anno, si perdono in qualche anfratto dove nessuno potrà sentirli urlare.
Strani capovolgimenti di fronte.

wolf creek crater

Che poi, esattamente come è accaduto per Hannibal Lecter e per Freddy Krueger, il killer Mick sia diventato il vero protagonista della saga, tanto che la gente va al cinema solo per rivedere la sua carabina con mirino telescopico, il suo fuoristrada, il cappellaccio e la camicia a quadri, e il coltello… e che più diventa cattivo e dispensa violenza e battute (“Sorry, Skippy” rivolta al canguro dopo averlo tranciato sotto le ruote di un camion) più piace, be’, è conseguenza di un sapiente ed efficace meccanismo narrativo: è il fascino del male, per di più rafforzato nel suo carisma da una serie di caratteristiche estetiche elementari che elevano a simbolo il personaggio. È infallibile.
Ma magari, di questo ne parleremo un’altra volta…


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