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Questuanti digitali

Da Angeloricci @angeloricci

Questuanti digitali

Negli anni Sessanta fecero una domanda a Roland Barthes: "Perché si scrive?". Barthes non si limitò a dare una risposta, ma compilò un vero e proprio decalogo. Quel decalogo l’ho letto tutto, ma un punto mi è rimasto impresso: il punto quattro. E di quel punto mi sono rimasti impressi due elementi.
Ecco, secondo Barthes si scrive: “Per essere amati, per essere constatati.” L'attività dello scrivere, quindi, viene esercitata come un mezzo che utilizziamo per dare un senso al nostro bisogno di essere presi in considerazione dal nostro prossimo. Tutto ciò, tuttavia, prendendo ad esempio un'azione, per così dire, organizzata come quella che porta alla creazione di un'opera strutturata come può essere un racconto o un romanzo.
Ma è il web 2.0 che democratizza ed estende quasi parossisticamente la produzione della scrittura. Produzione nella quale possiamo includere sia l'attività classica dello scrittore che mantiene un suo spazio sul web, sia quella di chiunque apre un suo spazio con lo strumento del blog o con quello proposto dai vari social network. Ma il fine ultimo, registrato da Barthes nel suo decalogo, non cambia. Ognuno di noi scrive sul web con le modalità più varie: l'articolo, il racconto, la citazione, l'haiku, la frase più o meno breve o la battuta di spirito. Ma lo facciamo sempre ricercando l'approvazione degli altri o, per lo meno, la loro constatazione. Constatazione che ha trovato nel commento, nel like, nel retweet le sue più formidabili armi. E quindi ognuno di noi sul web, ogni giorno, si esprime ed esprimendosi ricerca l'approvazione altrui (l'amore e la constatazione barthesiane). Ogni giorno facciamo la nostra questua. Siamo diventati tutti dei questuanti digitali.


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