La prof. Ciclista è appena arrivata a scuola. Ha una di quelle cattedre di risulta di cui sono maestri i provveditorati, per cui una cattedra di diciotto ore diventa due spezzoni da nove ore, e un’altra diventa quattro ore di alfabetizzazione, cinque ore di progetto Vattelapesca, tre di progetto Vattelapera, e sei, forse, di lezione in classe (magari in sei classi diverse, a fare la famosa ora di “approfondimento” della Gelmini, un’ora in ogni classe, bellissimo, didatticamente produttivo e così via).
La prof. Ciclista, con una di quelle cattedre di risulta, si trova sottodimensionata rispetto alla considerazione di sé che ha maturato nei suoi ultimi cinquant’anni di vita. La prof. Ciclista, che d’ora in poi chiameremo, per meglio riconoscerla, la Puzzona, deve recuperare la considerazione altissima di sé venendo a spaccare i maroni a tutti.
Nella fattispecie, li sta spaccando a me.
La Puzzona arriva in classe durante la prima delle prove di livello. Entra. Si ferma, mi guarda, io la guardo e saluto. Lei mi guarda e si guarda in giro: ora, come sapete, ci hanno ficcato in un’aula dove i miei venticinque alunni riescono a stare seduti nei loro banchi solo se io non devo scrivere alla lavagna (di ardesia, rotta). Se devo scrivere, devo mettere il culo (compermesso) sul primo banco, e questo non è didatticamente produttivo.
In ogni modo, lei non è che ha tanto da guardarsi in giro, ma siccome non si schioda, mi schiodo io e vado verso di lei. I virgulti fanno finta di fare la prova ma stanno sbirciando che cosa succede.
Nei successivi cinque minuti lei chiacchiera a voce alta per spiegarmi che verrà un’altra volta perché adesso altrimenti disturba.
Reuccio, all’ultimo banco, si fa grasse risate.
Io chiedo perché deve venire un’altra volta a dare un’occhiata alla mia classe, e lei si mette a parlare per spiegarmi che me lo dirà la prossima volta se no adesso eccetera.
Reuccio poggia la matita e si mette a seguire interessato la discussione.
Allora io dico: va bene, ci vediamo un’altra volta.
Al che, Puzzona comincia a spiegarmi. Parla a mitraglia, e mentre parla allunga il collo e avvicina il viso al mio e si agita. Ecco, deve essere stato questo. L’agitazione, quadernino sventolato, narici dilatate, occhi spiritati, collo che si alluuuunga, si alluuuunga, mani che sventolano l’aria. E la puzza. Ora, io sono una che andava d’accordo persino con il prof. Magli perché non sentivo l’odore che emanava (sono anosmica, in genere), ma, gente, signori miei, pubblico, lettori, sappiatelo: questa la sentivo.
Odore di formaggio non lavato (lo so che il formaggio non si lava, ma se andasse lavato e voi non lo faceste, ecco, l’odore era quello), mescolato al dolciastro di una canna fumata negli anni Sessanta e poi dimenticata nello scollo della maglietta, mescolato a un fondo di patchouli andato a male. Il tutto debitamente irrancidito da cinquant’anni di alta considerazione di sé.
Morivo.
E lei spiegava.
Che sarebbe venuta a prendere i miei alunni stranieri, e che prima di prenderli gli faceva l’intervista, e che per fargli l’intervista li tirava fuori a uno a uno e che aveva già fatto l’intervista ad Alì Panìn e che…
Piano, le dico, tu Alì Panìn lo lasci stare in classe bel tranquillo.
Lei mi guarda, strizza gli occhi, allarga le narici (mi chiedo: ma con tutto quel po’ po’ di narici, non sente l’odore che svolazza intorno?) e mi riguarda.
No, dico, Alì Panin è bravo, capace, parla benissimo italiano, non fa errori di ortografia, è un rompiballe ma è una delle colonne di intelligenza della classe, perché deve uscire a fare alfabetizzazione?
E lei strizza gli occhietti e sorride (vi sovviene un’altra che strizza gli occhietti e sorride? La Polletta? Vedete? Le fan tutte con lo stesso stampo) e poi alza il meno e guarda in alto e sospira greve (e anche Reuccio guarda in alto e poi guarda me) e spiega: aaaaah, dice, ma tuuu non saicheioinparticolareconquelliditerzafacciounacosabellissima echenonimportasesonostranierionostraieriancheconglitaliani.
Sì, parte piano poi prende la rincorsa, ma per non farvela diventare subito antipatica, ora farò la traduzione simultanea, anzi, la spiega, in poche parole:
Puzzona afferma che può prendere i miei alunni di terza, portarli fuori, e siccome i ragazzi vanno d’accordissimo con lei, lei poi non si farà più vedere perché imposterà lei il lavoro e insegnerà loro a scrivere benissimo e lo fa sempre e ha risultati splendidi, sempre. Ma prima li vuole intervistare, a uno a uno, e se non c’è uno intervista l’altro. Reuccio alza la mano e dice: vengo io a fare l’intervista, e lei mi lascia lì come quello della Mascherpa e va da Reuccio e fa: bene, domani ti intervisto, finché io non la richiamo e le dico: stanno facendo la prova, puoi venire domani?
E lei finalmente se ne va.
Lei e la puzza. Se ne va a fare interviste di un quarto d’ora a un alunno qui e uno là. Durante il suo orario scolastico. L’orario in cui io sono in classe con venticinque, voi con venti o trenta. L’orario in cui sto producendo venticinque prove scritte da portarmi a casa da correggere, mentre lei ha prodotto una lineetta sul suo quadernino di fianco al nome di Alì Panìn e un punto interrogativo di fianco a CinCiùE.
Oggi pomeriggio guarderà la lineetta e penserà a come venirmi a spaccare le balle domani.
Anzi, no, domani no, ovviamente.
Casualmente, il sabato è il suo giorno libero.