Come un treno dentro a una galleria.
In realtà qui veloci sono pure i giorni. E le notti, e le ore. E per scrivere, per dire, per raccontare ci vorrebbe anche tempo. E qualche residuo neurone. Mica quella specie di poltiglia cerebrale che accompagna le mie giornate.
Dovessi definirmi in questo momento, mi direi vagamente catatonica. una cosa che, a vedermi non si direbbe. Che in realtà sono tesa come una corda di violino, adrenalinica il giusto, sul pezzo più si che no.
Tre anni di crisi, sebbene (baciandoci i gomiti per il gran culo avuto) non nerissima, hanno lasciato le loro scorie.
E iome non ci era più abituata alla stagione tesa. Ai nervi scoperti, alle pezze messe all’ultimo. Agli anelli di Saturno, quelli veri.
Il risultato è una stanchezza stordente. La sensazione di perdere il controllo, sempre, anche se poi, alla fine, t’accorgi che non ti è sfuggito mai.
Osservo il mondo da un oblò, ma il vetro è un po’ appannato. Non leggo, non scrivo, comunico l’indispensabile. Vado in piscina. E ho ripreso a dormire. Ma a sasso, proprio. Dopo essermi pacificata su alcuni aspetti non proprio marginali. Il resto (leggere, scrivere, comunicare) tornerà, presto, appena il resto lascerà un po’ di spazio.