Io e Diego ci siamo conosciuti al lavoro, quando lavoravamo da Prada. Lavoravamo insieme tutti i giorni e spesso mi ritrovavo a flirtare con lui senza nemmeno rendermene conto, suscitando l’ilarità del mio ufficio che già prevedeva l’epilogo di cui è oggetto questo post. Ho passato un anno e mezzo a dire “ma va, io con quello? Ma l’hai visto che capelli? E’ ridicolo” salvo poi gongolare davanti alla chat di Skype quando mi mandava i cuoricini e mi risolveva i bug. Al primo aperitivo in realtà l’ho invitato io ma dopo il primo bacio avevo già deciso che NO, a me con ‘sto capellone non interessa uscire. Posso dire che poi però il suo essere un Ariete stracciapalle è emerso e ha ottenuto il secondo e decisivo appuntamento in cui si è giocato il tutto per tutto un po’ come Schillaci ai Mondiali. Vi risparmio il racconto dei successivi 3 anni nonché del periodo da pendolari dell’amore sull’asse Milano-Londra e arrivo direttamente al mio ultimo compleanno. Nel periodo in cui ci siamo lanciati i coltelli all’inizio di quest’anno, gli è scivolata di bocca una cosa tipo “ma io al tuo compleanno volevo riportarti a Parigi”. Come ben si sa, qualsiasi sillaba pronunciata durante un litigio, viene appuntata e archiviata in un apposito file nella memoria dei Ricordi Base. Posso dimenticarmi il cognome del CFO dell’azienda per la quale lavoro, posso dimenticarmi il nome della pizzeria davanti alla quale passo tutti i giorni ma ricorderò per sempre quello che hai detto quando stavamo litigando, come l'hai detto e cosa indossavi nel momento in cui lo stavi dicendo. Nonostante i mesi passassero, tenevo sempre a mente che in ballo poteva esserci Parigi, se non altro per rinfacciarlo al momento giusto (Ah, non andiamo a Parigi? Benissimo. Muori) Ma il caro eroe di queste pagine sapeva di avere a che fare con una delle Vergine e che niente di quello che dici, hai detto o dirai passerà mai inascoltato alle mie orecchie.
Gli indizi per arrivarci da sola non sono mancati, 5 stagioni di Homeland e 3 di The Americans non sono passate invano e a me non sfugge manco uno scontrino nel bidone della carta. Ormai giunti al week-end del mio compleanno la destinazione già la sapevo, nonostante le continue rassicurazioni sul fatto che avremmo trascorso “uno splendido week-end presso un resort a Cinisello Balsamo”. Nemmeno il tempo di arrivare in aeroporto che io mi ero già scorticata i piedi dall’entusiasmo, senza contare che per la prima volta stavo arrivando a Parigi CON IL SOLE.
Giusto per essere preparata ad ogni evenienza mi ero stampata il post della Connie sui luoghi poco comuni da visitare a Parigi, ma appena poggiato piede sul suolo francese non abbiamo resistito e abbiamo noleggiato una bici con l’intento di vagare senza meta dal Marais verso l’ignoto.
Il giorno seguente i miei 32 anni sono stati bagnati dal più classico buongiorno parigino a base di pioggia e pain au chocolat ma, per una volta, nessuna lacrima.
Avendo bisogno di avere sempre un piano B, nella possibilità di non riuscire a vedere il Canale di St. Martin, mi ero tenuta come buona la possibilità di visitare l’Opera Garnier.
Ho trascorso là dentro un periodo che potrebbe essere stato dalle 3 alle 18 ore, meravigliata come una bambina dentro un Disney Store, senza alcuna voglia di uscire e affrontare la pioggia. Notavo che Diego pareva un filo nervosetto, ma lo attribuivo al fatto che dopo 6 ore a osservare gli stucchi dorati del teatro anche il più calmo degli uomini potrebbe manifestare qualche segno di cedimento. All’uscita del teatro ha insistito per andare a prendere un caffè, forse per svegliarsi, ma io sono contro le pause statiche a Parigi perché “con tutto quello che c’è da vedere in questa città non c’è tempo per prendere un caffè o fermarsi a fare pipì”. Nello stesso momento in cui ho detto questa frase l’ho visto camminare con gli occhi chiusi con malcelata intolleranza, come se GLI STESSE DANDO FASTIDIO LA MIA PIU’ CHE ONESTA E GIUSTA OSSERVAZIONE. “Cos’è quella faccia? Ti stai lamentando?” ma il povero diavolo aveva solo in tasca un anello dalla mattina e aspettava il momento giusto per darmelo.
Con l’intento di darsi all’Orangerie o al Louvre siamo andati in direzione dei Giardini delle Tuileries, che però vista la pioggia battente della mattina erano una distesa di fango, acqua e ghiaia. Una volta giunti nel mezzo del viale, tra la fontana che da su Place de la Concorde da una parte e il Carrousel du Louvre dall’altra, con un pretesto romantico mi ha fatto chiudere gli occhi per darmi un
bacino e quando li ho riaperti me lo sono ritrovato in ginocchio, nel fango, con lo sguardo più imbarazzato che gli ho mai visto, addirittura più di quella volta che gli ho chiesto il numero di telefono.
"Mi vuoi sposare?"
Gli è uscito di bocca imbarazzato e poco convinto, tenero e fugace, come una cosa da dire perché stava sullo stomaco, ma non scandita e articolata in un discorso come succede nei film.Me lo aspettavo, non posso negarlo, ma vedere la tua vita succedere ti lascia comunque senza fiato. Perché lì in ginocchio nel fango stava aspettando una risposta la stessa persona che mi aspettava a Liverpool Street alle due di notte con le rose in mano, che piangeva sullo shuttle che lo riportava a Orio al Serio, lo stesso che si è sparato le Sundays per un anno.
Ho detto “sì” in mezzo agli applausi degli sconosciuti, con le lacrime agli occhi.
Appena consegnatomi l’anello ha cominciato a elencarmi tutte le caratteristiche della pietra, del come l’ha scelta e di quanto è stato difficile trovarla. Trovare l’anello per un uomo, l’ho capito ora, è una specie di lavoro. Un po’ come acquistare una macchina: hanno bisogno di regole, di garanzie, di sicurezze. Hanno la loro maniera per informarsi, per trovare le informazioni. Non escluderei l'esistenza di forum gestiti da uomini per scambiarsi informazioni. Hanno bisogno di sapere che hanno fatto la scelta giusta per la donna e in relazione al budget. Ne sa più lui di anelli di fidanzamento di me: sa che taglio di pietra ha Beyoncé, Victoria Beckham e Amal Clooney. Sa quali sono le gioiellerie dove è possibile disegnare la montatura e sa quanti giorni di media impiegano le gioiellerie per fare la ricerca pietra. Dico questo non perché voglia (o non voglia) fare show-off dell’anello perché credo che l’oggetto in sé sia prezioso non tanto per la pietra, il taglio, la montatura o il nome sulla scatola di chi gliel’ha venduto, ma per il tempo che lui ha impiegato a sceglierlo, per il valore affettivo che il gioiello rappresenta per la coppia e che va ben oltre il carato della pietra o il colore della scatola che lo contiene. Sapere che si è fatto le fisime sulle foto delle gallery degli anelli famosi mi ha fatto tenerezza perché non ho mai pensato di volere il gioiello da principessa ma il fatto di indossare ora al dito il risultato della sua ricerca mi rende orgogliosa del suo impegno.
Ovviamente comunque mi sento anche un po’ principessa.
Ora eccoci qua, un mese dopo. Nel frattempo abbiamo visto il progetto di casa nostra, abbiamo contattato mille mila imprese di ristrutturazioni, ci siamo fatti una conoscenza di serramenti, pavimenti e parquet. Possiamo recitare a memoria i nomi e i codici delle maniglie che ci piacciono per le quali ci mancano ancora i preventivi e siamo ormai pronti a ordinare il divano modello Rise di Natuzzi.
Memore di tutte le bridezilla che ho visto e sapendo di avere ancora una manciata di kg da perdere ricordo della prima metà dell’anno, ho già cominciato a informarmi sugli atelier degli abiti da sposa a Milano. Non ho ancora una data ma se ho un obiettivo fissato sul calendario sono capace di vivere i prossimi mesi come in una puntata di Extreme Makeover Diet Edition. La settimana scorsa ho dato uno sguardo ai primi atelier che Google mi ha suggerito (Le Spose di Milano e Antonella del Brusco) ed entrambi organizzano in questo periodo delle presentazioni speciali. Ho sentito una mia amica che come me ha intenzione di sposarsi il prossimo anno ma che non ha ancora fissato la data e ci siamo date appuntamento da Jenny Packham per il prossimo sabato. Ammetto di avere una sorta di timore revenziale per i negozi di abiti da sposa (per le boutique in genere) e sento di dovermi togliere questo imbarazzo, se non altro perché ancora non so la ricerca quanto tempo e fatica potrà impiegare. Ho le idee abbastanza chiare sul mio abito ma non è detto che il mio abito immaginario in effetti “esista”.
Nel frattempo ho deciso anche di risolvere la questione del corso pre-matrimoniale che, a seconda delle parrocchie impiega da uno a tre mesi. A Novembre, dovrei riuscire a concludere il tutto. Quanto alla location, alla chiesa, al catering… Bhè, abbiamo appena cominciato. Il matrimonio si terrà in Friuli, da qualche parte nella mia amata provincia udinese. Sarà difficile dal punto di vista logistico far spostare le persone da diversi punti dell’Italia (Mantova, Milano, Udine, Treviso, Bergamo, Trieste e addirittura New York) ma ci tengo a mostrare la mia regione che difficilmente viene inclusa negli itinerari turistici. Il Friuli è una terra semplice e per questo si pensa che non abbia molto da offrire. Tengo particolarmente a cogliere l’occasione del matrimonio per suggerire mete turistiche ed eno-gastronomiche a chi viene da lontano, per lasciare un bel ricordo di questa terra non scontata.
Non credo di essere una persona molto creativa, credo tuttavia di avere delle idee maturate con il tempo e che stanno aspettando il momento giusto per uscire. Su Pinterest ero partita con una board a nome “Sweet Home” nella quale pinnavo idee per la mia casa immaginaria. Quella board ora è diventata “Master Bedroom” “Living” “Master Bathroom” “Dream Kitchen” “Interiors”. Con la stessa proprietà esponenziale quindi mi aspetto che la mia board segreta “Brides” che ho alimentato con cura certosina negli ultimi anni, ora diventi “Mise en Place” “Tableau de Mariage” “Wedding Settings” “Say Yes to the Dress” “Tiaras” e così via.
Che tenerezza che mi fa Diego quando crede di poter avere voce in capitolo in qualcosa di questo matrimonio.
La realtà è che nella mia testa, il matrimonio c’è già. Un po’ come per la casa: ad ogni foto di Pinterest che ho salvato, ogni divano sul quale mi sono poggiata nella mia vita, ogni cucina nella quale ho mangiato, ha contribuito a creare l’idea della casa ideale che adesso
“Com’è il tuo abito?”
“ S E M P L I C E”
Mai una che riconosca di essersi strizzata in un corsetto con dettagli di nastro rossi, su corpetto nudo di pizzo con strascico ricamato e velo cattedrale.
Nel mio matrimonio immaginario avevo anche già scelto la cappella, ma purtroppo la capienza sembra che potrebbe essere limitata agli sposi e ai testimoni. Quello che i catering mi stanno continuando a chiedere è LA DATA ma la triangolazione di ristoranti, castelli, agriturismi, magioni, parchi e ville pare più difficile che risolvere il conflitto israelo-palestinese. Trovi la villa? Fissa la chiesa. Trovi la chiesa? Fissa la villa. Trovi il prete? Senti il catering. Ha i tavoli? Che tovagliato vi interessa? Quale vestito di sedia? L’aperitivo seduti? I corner? Lo showcooking? Le cruditè? Gli scherzi agli sposi? Il gruppo dal vivo? I cubi illuminati? L’open bar? La cantinetta? La torta nuziale? Il buffet di dolci? La fontana di cioccolato?
Mi sto rendendo conto che perfino più della casa, il matrimonio pare essere l’argomento per eccellenza per il quale la donna è considerata l’unico e onnipotente AMMINISTRATORE DELEGATO. I ristoratori parlano di tovaglie cercando nel mio sguardo l’approvazione di cui hanno bisogno per sapere che non stanno perdendo tempo, il catering chiede quale sarà il tema del matrimonio e mentre rispondo parlando di allestimenti con lampade, torce e le varie tonalità di beige del lino e della rafia, nello sguardo di Diego ci sono le pecorelle che saltano lo steccato.
Ma vuoi che i genitori tacciano? "E pensa alla zia Pinuccia che non può mangiare condito, pensa alla nonna Adele che non riesce a stare tanto in piedi, ma se poi a qualcuno non piace il crudo?" “Guardi a noi interesserebbe un ricco e vasto buffet di antipasti per poi stare leggeri una volta seduti” – “Perfetto, ho capito benissimo. Allora facciamo dei tavoli con cestini di Montasio nel Montasio, prosciutto e melone e bicchierini vari, poi al tavolo due antipasti caldi, un primo, pausina con il sorbetto per fare gli scherzi e poi due secondi”.
OK.
Quindi mi sposo: manca la data ma temo sia questione di pochi giorni ormai. Dopo aver parlato con un numero sempre crescente di persone che fa riferimento a noi come “gli sposi”, a lui come “il marito” direi che è ora di cominciare a famigliarizzare con questa nuova terminologia e rassegnarmi a non dire più “lui è il mio ragazzo”. Spose friulane, mi rivolgo a voi: fotografi, rock band, catering, cuochi, ville, atelier…. Qualsiasi consiglio sarà accuratamente letto, apprezzato e analizzato. Ringrazio di cuore tutte le ragazze che mi hanno già scritto con una lunga lista di consigli, soprattutto su quali atelier evitare su Milano (Pronovias pare essere l’incubo di tutte le spose).
Al momento di certo ho solo lo sposo e la parrucchiera.