Ho subito chiamato in Italia perché un ex collega mi ha riferito della mia intervista pubblicata in una di quelle riviste che dovrebbero leggere solo i top manager ma che, esaurita la loro funzione di collettori di pubblicità per brand di seconda scelta, restano in bella mostra nelle aree ricreative delle aziende vecchio stampo fino a quando, macchiate dai cerchiolini dei bicchieri del caffè, finiscono nella raccolta differenziata. Mi avevano chiesto di come si vive qui negli Stati Uniti e di quanto mi sentissi isolata da tutto ciò che mi ero lasciata alle spalle. Probabilmente hanno anche riportato l’aneddoto che gli ho raccontato sul livello del mio inglese e del professore afro-qualcosa delle superiori in Italia che mi aveva accusata di razzismo perché trovavo il suo metodo, basato sul farci cantare “Redemption Song”, superato e noioso.
Il giornalista invece ha usato un format originale, quando ha voluto incontrarmi. Siamo stati a chiacchierare proprio nel liceo in cui poi il corpo insegnante aveva fatto quadrato intorno a quell’emulo di Bob Marley fuori tempo utile tanto da farmi diplomare con un voto vergognosamente al di sotto delle mie potenzialità. Entrare in una scuola dopo che è tanto che ne sei uscito fa lo stesso effetto di scoprire che dietro a un pupazzo c’è un animatore vestito tutto di nero per confondersi con il fondale buio. Quello che mi sembrava un sistema votato all’annullamento individuale ho scoperto finalmente essere in realtà un acceleratore di particelle umane allo stato brado, una sorta di incubatore di libertà intellettive.
Abbiamo anche notato insieme che il fatto che la scuola fosse dedicata a Levi non dovesse necessariamente legittimare gli studenti ad anagrammare il nome per fini creativi: evil e live, per una persona che ha conosciuto il peggio del male e poi è morta suicida per le conseguenze, sono fuori luogo. Mi ha fatto anche ridere, e spero che questo passaggio compaia nell’articolo, l’ufficio con il cartello “Sala stampa” che non è proprio quello che pensiamo noi ma si intende, in questo caso, la stampa con la stampante. Ho aggiunto che l’odore dei ragazzi mi fa sempre venir voglia di dare indietro il mio posto di Responsabile Marketing corporate per un incarico di insegnante qui, ad aprire la testa degli adolescenti e indicare modelli e opportunità. Ma anche essere una madre che partecipa alle riunioni di classe è altrettanto bello, sedersi nelle aule vuote cercando lo stesso banco della propria figlia per lasciarle un biglietto tenero per il mattino dopo, immaginandosi come è possibile che molta della vita dei ragazzi di cui non siamo testimoni si svolga lì da seduti, nel regno del nozional-socialismo, e se i figli ogni tanto mentre sono lì pensano un po’ a noi ma, come ho detto al giornalista, ne dubito fortemente.