Da decenni ormai, dai gloriosi fasti dei quattro moschettieri che vinsero la Coppa Davis in Cile, l’ItalTennis settore maschile cerca un nuovo eroe. Tante, troppe le promesse svanite nel nulla o, nella migliore delle ipotesi, in posizioni di ripiego; non basterebbe un’enciclopedia a raccontare le loro storie, sempre diverse e sempre uguali, di grandi speranze tradite al momento della conferma, vuoi per una debolezza mentale, vuoi per una gestione non proprio ottimale da parte della Federazione, vuoi perché, semplicemente…essere campioni da giovanissimi, in tutti gli sport, non significa esserlo anche da “grandi”.
Da amanti della racchetta azzurra, possiamo solo augurarci che la storia di Gianluigi Quinzi segua un copione diverso. Veneto di nascita e marchigiano d’adozione, questa giovane stella classe 1996 vince e convince sin dalla più tenera età, da quando quella leggenda vivente che risponde al nome di Nick Bollettieri gli offre una borsa di studio per la sua celebre accademia, e il buon Gianluigi è il più giovane di sempre ad ottenerne una. Proprio in America, vince il Little Mo, torneo under 10 nel quale trionfarono Serena Williams e Andy Roddick; scalando le categorie, i risultati non cambiano, sino alle nuove vette raggiunte quest’anno, con la vittoria del prestigioso Trofeo Bonfiglio, la semifinale a Wimbledon juniores e i primi risultati interessanti nei tornei future. Un’altra perla è giunta però nei giorni scorsi, una perla dal profumo di Storia: la prima Coppa Davis junior vinta dagli azzurri, trascinati proprio da un Quinzi che non ha perso neanche un match, districandosi ottimamente anche in doppio assieme all’altro talentino Filippo Baldi.
Tecnicamente e atleticamente, Quinzi migliora sempre più, con 187 cm di altezza che gli potrebbero permettere, in teoria, di sfruttare ancora meglio il servizio. Stupisce poi la sua lucidità mentale, la sua capacità di non perdere mai la concentrazione nemmeno quando, come accaduto recentemente a New York, si è trovato a giocare due match importanti a distanza di appena un’ora. Il ragazzo allenato da Eduardo Medica ha quindi tutte le potenzialità per diventare davvero un grande campione, frase ripetuta davvero troppo spesso in Italia, ma che stavolta ha profonda ragion d’essere. Starà a lui e alle persone che gli sono accanto riuscire a mantenere sempre i piedi per terra, a renderci conto che, a 16 anni, non si è ancora “arrivati”: bisogna impegnarsi e perfezionarsi giorno dopo giorno, per farsi trovare fronte alle sfide, sempre più ardue, che questo giovane campioncino si troverà ad affrontare.
OA | Marco Regazzoni