Quirico ma non solo. I giornalisti sequestrati all’estero

Creato il 13 settembre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Photo credit: RamyRaoof / Foter / CC BY

Sono molti i giornalisti, italiani e stranieri, che, nel corso del loro lavoro in Paesi dilaniati dalla guerra o da lotte intestine, sono stati rapiti e sequestrati.

Hanno dovuto affrontare tutti i tipi di condizioni e detenzioni possibili: non sempre sono stati trattati bene, come ha affermato Domenico Quirico qualche giorno fa. Un Quirico che ha definito la Siria come il Paese del Male, che ha dovuto subire  violente percosse, false esecuzioni (pensare che Dostoevskij è impazzato dopo una sola), lunghi pellegrinaggi, bombardamenti, scherni e crudeltà.

Ma non era la prima volta che il giornalista de La Stampa subiva un sequestro: già infatti nell’agosto 2011 in Libia era stato rapito per essere liberato il giorno dopo. Con lui si trovavano Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina, entrambi inviati del Corriere della Sera, Claudio Monici di Avvenire e un autista, ucciso nel momento del rapimento. I rapitori, dei banditi, avevano consegnato gli ostaggi ai lealisti, che li avevano fatti telefonare alle rispettive redazioni e che li hanno detenuti fino al giorno dopo, quando due giovani miliziani libici hanno fatto irruzione nella casa del sequestro per liberarli. Già allora Quirico dichiarava:

«Adesso sto bene. Sono vivo, vegeto e libero. Ma fino ad un’ora fa pensavo di essere morto».

Nell’aprile di quest’anno altri quattro giornalisti sono stati sequestrati in Siria: l’inviato Rai Amedeo Ricucci, il fotoreporter Elio Colavolpe, il documentarista Andrea Vignali e la giornalista freelance Susan Dabbous, di origini siriane. I sequestratori appartenevano ad una brigata di Jabhat al Nusra, lo stesso gruppo che ha detenuto per un breve periodo anche Quirico e Piccinin e che, secondo il giornalista di Govone, sono stati i più umani con loro. La liberazione è avvenuta dopo undici giorni, il 13 aprile 2013 e Ricucci ha dichiarato subito dopo il sequestro

«Stiamo bene, stiamo tutti bene. Ci hanno trattati bene e non ci hanno torto nemmeno un capello».

Una storia ben diversa dall’ultimo sequestro siriano, fatto che testimonia ancora una volta la veridicità delle prime parole di Quirico, per cui “non è più la stessa rivoluzione di due anni fa ad Aleppo, laica e democratica”.

Un altro sequestro attorno al quale è stato creato un caso diplomatico e mediatico è stato quello di Daniele Mastrogiacomo: l’inviato de La Repubblica fu preso in ostaggio da miliziani talebani in Afghanistan il 5 marzo 2007 e rilasciato il 19 marzo stesso, grazie alla mediazione operata attraverso i canali di Emergency. Il presidente afghano Karzai accettò le trattative con i talebani che lo portarono a rilasciare quattro componenti del movimento ribelle, precisando che tale accettazione rivestiva un carattere eccezionale e che non si sarebbe ripetuta in futuro: tutto ciò in virtù dell’impegno profuso dall’Italia che schierava in Afghanistan 1900 militari.

Inoltre nelle nostre menti è ancora vivido il ricordo del sequestro Sgrena: giornalista del Manifesto, Giuliana Sgrena è stata rapita il 4 febbraio 2005 dall’Organizzazione della Jihad islamica mentre si trovava a Baghdad. L’organizzazione chiedeva per il suo rilascio il ritiro delle truppe dall’Iraq. Per la sua liberazione, avvenuta poi il 4 marzo, avevano fatto appello sia il Capo dello Stato Ciampi e Papa Giovanni Paolo II.

Queste sono state solo alcune delle persone costrette a subire intollerabili privazioni della libertà personale e violazioni dei diritti umani in nome dell’informazione pubblica. Ma altrettanto onore meritano le persone che hanno permesso il loro rilascio, spesso rimettendoci in prima persona, e coloro che siamo troppo spesso abituati a considerare “vittime collaterali” di un caso più grande. Dall’autista dei quattro giornalisti rapiti nel 2011, al collaboratore di Emergency, Rahmatullah Hanefi, protagonista della trattative per la liberazione di Mastrogiacomo, arrestato e incarcerato per tre mesi, con l’accusa di essere il mandante del sequestro: ipotesi totalmente sconfessata, grazie anche allo stesso giornalista. Tra queste vittime collaterali, anche Nicola Calipari, l’agente segreto italiano ucciso in seguito alla liberazione di Giuliana Sgrena. I giornalisti che vivono in prima persona queste esperienze, come Quirico, ci ricordano di quanto siano pericolosi e imprevedibili  i teatri di guerra.

articolo di Sara Martinetto


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