16 marzo 2015 Lascia un commento
Un giallo che punta al thriller per il regista premio Oscar ma nel contempo l’occasione di raccontare il proprio mondo, declinando la storia agli archetipi che lo definiscono. Musiche e cinema a farla da padrone sotto la pioggia che pare acida come quella losangelina del 2019 e funzionale ad un mood oscuro tutto italiano alla Infascelli che cito ad esempio non come reale maestro di genere.
Salvatores va letteralmente a nozze con un film che si svela attraverso il cinema e in esso rivela le sue debolezze e l’eccessiva semplificazione. In qualche modo il regista milanese vuole strafare e non si scorda di piazzarci davanti agli occhi, poster, citazioni, immagini, fotografie e scritte dal cinema che ama di piu’, sempre quello in fondo se si va dai "400 colpi" a "Jules and Jim" da "I pugni in tasca" a "La dolce vita".
Diventa persino banale per la soluzione del giallo usare "Ultimo Tango a Parigi" e " M – Il mostro di Düsseldorf" ma del resto queste facilonerie si accentuano con la colonna sonora che con grande originalita’ sfoggia i Ramones nei momenti di rabbia, Stratos che c’e’ coi Ribelli quando la Baraldi si ribella e "Impressioni di Settembre" per la triste nostalgia. Avvilente. Poi mi si dia del fissato ma quando dico che i Talking Heads piacciono agli "amici" che piacciono e qui presenti in suono e reiterate immagini, forse un po’ di ragione l’ho.
Come andra’ a finire e’ gia’ chiaro dopo 20 minuti ma non e’ questo il peggior difetto perche’ le due protagoniste proprio non vanno e passi la Baraldi che stimiamo come cantante ma recitare non e’ il suo mestiere, peggio Claudia Zanella che nella pessima tradizione italiana degli ultimi decenni, recita dall’inizio alla fine senza offrire per un istante, una parvenza di realta’. Gigio Alberti mi spiace ma anche lui nella parte di bellone non ci sta proprio. Tolta qualche eccezione nei ruoli minori come Elio Germano e Andrea Renzi, il casting e’ senza alcun dubbio sbagliato. Colpa v’e’ anche nei testi, artificiali, ridondanti, irreali perche’ nessuno al mondo parla cosi’ e tolto il finale, suggestivo nell’idea, non si aggiunge molto a quanto gia’ visto, letto e sentito.
Poi dai, un film che s’appoggia idealmente a "L’ultimo tango a Parigi", ovvero tra le espressioni piu’ ridicole della settima arte, non poteva che scivolare in qualcosa.