Mi assumo tutte le responsabilità di questa affermazione, in forza delle esperienze, sensazioni e convinzioni legate ai tanti anni di professionismo come atleta, rafforzate ora da tutta la ricchezza che l’essere coach mi sta regalando.
La mente di un atleta è così abituata alle strategie “personali” acquisite nel percorso che lo ha portato al successo, che può rischiare di sottovalutare l’opportunità di uno specifico allenamento mentale, quale vero alleato della completa conoscenza e costante espressione del proprio potenziale.
Quanta incredibile magia e forza nelle nostre convinzioni!
Le convinzioni sono un aspetto affascinante delle dinamiche che ci influenzano e guidano e in un atleta, indipendentemente dal livello e dalla disciplina, assumono una valenza inscindibile dalla prestazione.
Sappiamo che le convinzioni possono essere amiche e nemiche della nostra eccellenza; l’errore più grande che possiamo fare è il non metterle in discussione, anche quando sentiamo e vediamo che sono energia positiva. Chi ci dice che quella convinzione, che è già nostra alleata, non possa divenire ancora più efficace nel contribuire a raggiungere la nostra peak performance?
“Il dubbio è il lievito della conoscenza”, lessi tempo fa, quando esso ci stimola ad alimentare con curiosità, entusiasmo e determinazione il percorso verso i nostri obiettivi più veri.
Conosco il perché della mia vittoria?
Conosco il perché di questo mio risultato non positivo?
Conosco quali sono davvero i limiti del mio talento e del mio potenziale?
Sono domande cui spesso, da atleta, non sono stata in grado di dare completamente risposta.
Analisi, riflessioni, confronti con sé stessi e con i propri allenatori, preparatori, amici e con tutte quelle figure di cui un atleta si fida, non sempre riescono a completare il mosaico con tutte le sue tessere.
Gli stessi atleti di vertice, nei momenti di massima resa, così come in quelli di crisi, non sempre sono completamente consapevoli di cosa, come, chi e perché ha determinato quel momento, con la rilevante conseguenza di non riuscire ad arricchire il proprio bagaglio di abilità e competenze capaci di essere strumenti con cui costruire la propria vera e completa eccellenza e di farlo con continuità.
Negli anni di Coppa del Mondo sentivo viva dentro di me la percezione di come mi mancassero strumenti mentali specifici per incrementare le mie prestazioni, soprattutto dopo gli infortuni occorsi.
Ero certa che dentro di me ci fossero altre risorse, che per motivi legati in parte alla mia persona ed in parte all’ambiente, alle capacità, alle relazioni, non riuscivano ancora ad esprimersi, ed ero altrettanto certa, però, che i limiti legati a ciò non influenzassero il mio dare il massimo in tutti i momenti dell’allenamento e delle competizioni e che bastasse continuare a lavorare con tutta me stessa per riuscire a scardinare le porte anche di quelle risorse “nascoste”.
Qualche giorno fa mi trovavo in palestra a correre sul tapisroulant.
Premetto che non amo allenarmi al chiuso e non amo granché neppure la corsa, ma durante il periodo freddo in montagna le alternative non sono molte e soprattutto, con una bimba piccola a casa, non capita spesso di riuscire a regalarsi un paio d’ore tutte per sé e quindi l’entusiasmo e la voglia di allenarmi erano a mille.
L’obiettivo mi era chiaro e la testa carica e determinata a raggiungerlo.
Verso i due terzi del percorso, la fatica ha cominciato ad essere importante e la reazione iniziale è stata quella classica dello “stringere i denti e tenere duro”.
Qualche chilometro è stato sconfitto con questa strategia, ma pian piano, con la sola tenacia e determinazione, la falcata ha cominciato ad accorciarsi, la postura ad appesantirsi, il respiro a perdere di armonia e di conseguenza il ritmo a rallentare, per non parlare dell’assoluta mancanza di piacere che provavo.
Cosa me ne faccio delle tecniche del coaching se non le applico prima di tutto con me stessa?
Mi sono divertita ad esercitare gli strumenti base dell’allenamento mentale, focus, linguaggio e fisiologia.
I chilometri che mi rimanevano sono stati entusiasmanti. Le sensazioni ottime, la falcata è tornata ampia e leggera, il respiro si intrecciava con spontaneità allo sforzo, che, pur rimanendo alto, si è rivelato efficace, sia in termini di risultati cronometrici, che di sensazioni di benessere successive all’allenamento.
Il pensiero è stato spontaneo e immediato; “Se mi fossi allenata allora e sempre conoscendo questi strumenti, quanto sarebbe cambiato!”
Impegnarsi al massimo ed essere convinti di dare tutto, non significa che tutte le nostre reali potenzialità si stanno esprimendo.
Come fare per passare dal credere di dare tutto all’esprimere davvero tutto e con continuità?
Solo la conoscenza e l’uso consapevole e costante di quanto il coaching ci offre può portarci a far coincidere queste due dinamiche.
Tornassi indietro, da atleta professionista, il primo aspetto che curerei è senz’altro la scelta del giusto mental coach, per costruire assieme un percorso di allenamento mentale in grado di portarmi oltre la sola forza della “mente da atleta”.
Ora assaporo e sperimento il mondo dell’allenamento mentale da coach, sportiva, allenatrice e formatrice, ad ogni atleta ancora in attività mi sento di dire, regalatevi tutto il meglio di voi anche con l’aiuto del vostro mental coach.