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Quoziente familiare? No grazie

Creato il 04 settembre 2012 da Tabulerase

Quoziente familiare? No grazieQuali politiche pubbliche a favore delle famiglie possono essere messe in campo e quali le più efficaci? La cronica stagnazione delle nascite è sempre più motivo di preoccupazione dei governi, per le conseguenze che si porta con sé sul piano familiare, su quello della finanza, del lavoro, del welfare, dello sviluppo economico. In Italia da oltre trent’anni il tasso di natalità è inferiore a quello di mortalità. Da qui il proliferare di politiche pubbliche orientate a contrastare la bassa fecondità e a sostenere i nuclei familiari per modificare le tendenze. Non si tratta più di utilizzare strumenti coercitivi come la tassa sul celibato degli anni venti. Oggi si invocano e mettono in campo strumenti che vanno sotto il nome di politiche per la famiglia. In questa riflessione parleremo dello strumento fiscale e in particolare della riforma invocata da molti che chiamiamo “quoziente familiare”.

Noti economisti hanno coniato due terminologie per definire le finalità degli interventi a sostegno dei carichi familiari. Equità “verticale”, volta a eliminare le situazioni di disagio economico. Equità “orizzontale”, orientata a favorire fiscalmente famiglie con carichi familiari anche in assenza di situazioni di disagio.

La visione verticale si basa sull’assioma che la disponibilità ad avere più figli non dovrebbe essere limitata da fattori economici e la collettività dovrebbe assicurare un minimo di risorse che consenta agli individui di essere pienamente autonomi nelle scelte fondamentali di vita. Insomma si vorrebbe evitare che situazioni di povertà possano limitare le scelte procreative o, in un’ottica ex post, che situazioni di disagio della famiglia di appartenenza costituiscano un limite al futuro sviluppo dell’autonomia del giovane, della tutela alla sua salute, della sua istruzione, del suo ascensore sociale. L’equità verticale si attua per lo più con calibrati sgravi fiscali e con gli assegni al nucleo familiare. Progressivamente nel tempo sono prevalsi interventi miranti a sostenere le famiglie disagiate, a basso reddito, a scapitodi quelli corrisposti alla generalità delle famiglie, pur tra i molti dubbi su quale debba essere il valore segnaletico dei redditi, tenuto conto dell’evasione fiscale che si concentra in particolari tipologie di percettori, le cui famiglie possono fruire di sussidi per i quali non avrebbero titolo, a scapito di famiglie più meritevoli.

La visione orizzontale è orientata a sostenere i nuclei familiari senza problemi economici e gli interventi si limitano principalmente alla riduzione dell’onere tributario sopportato da famiglie che, a parità di reddito, hanno discendenti a carico. Tra gli interventi più invocati nel dibattito pubblico, vi è quello della tassazione personale sulla base del “quoziente familiare”, adottato dal sistema fiscale francese. Qui vale la pena di soffermarsi un attimo per capirne gli effetti distorsivi e sovente iniqui. In un sistema di tassazione dei redditi personali caratterizzato dalla progressività delle aliquote, l’imposta dovuta da una famiglia dipende dal modo in cui i redditi si ripartiscono tra i coniugi. Per correggere tale situazione e per graduare in modo marcato il carico tributario in relazione al numero dei figli, si propone di adottare il sistema basato sul quoziente familiare. Con tale sistema il prelievo è indipendente dalla ripartizione dei redditi tra i coniugi ed è tanto più basso quanto più alto è il numero dei figli. Questo sistema, va detto, oltre ad essere oneroso per le finanze pubbliche (lo sgravio fiscale è tanto elevato quanto più alti sono i redditi), contrasta col principio di equità “verticale” e contribuisce in modo assolutamente marginale a innalzare il tasso di fecondità (posto che sia questa la finalità pubblica). Infatti rende nullo il beneficio fiscale per le famiglie povere, per definizione non soggette a imposta personale. E, nel caso di redditi non esenti, penalizzerebbero, rispetto alla tassazione individuale, quelli delle donne. Inoltre per le donne che trovano difficoltà nel conciliare i tempi di vita con quelli di lavoro, un modesto innalzamento del reddito disponibilenon consentirebbe di ricorrere a quei servizi di cura e di assistenza che renderebbero più agevole la maternità.

La rigorosa applicazione del criterio dell’equità orizzontale a tutte le famiglie, a prescindere dalle situazioni di bisogno, comporterebbe inoltre rilevanti conseguenze sotto il profilo redistributivo. Se, come è dimostrato, la compensazione monetaria per ogni discendente aggiuntivo è proporzionale alla spesa sostenuta dalla famiglia, ne consegue che l’ammontare della detrazione fiscale dovrebbe essere tanto più elevata quanto più alto è il reddito familiare; un risultato che stride con l’usuale carattere progressivo del sistema tributario.

In conclusione, nell’affrontare il tema della tassazione dei redditi in una logica di sostegno familiare, occorre definire chiaramente gli obiettivi. Se l’obiettivo è rendere il prelievo tributario indipendente dal modo in cui il reddito familiare si ripartisce tra i componenti, allora il quoziente familiare può essere una soluzione adeguata, anche se molto onerosa per le finanze pubbliche.

Se invece l’obiettivo è il sostegno alla natalità, il quoziente familiare può fornire un contributo marginale e penalizzare le giovani copie, i cui redditi sono spesso così bassi da essere fiscalmente esenti.


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