Li conoscevo tutti per nome, come ogni bambino.
Erano sette. Non uno di più. Erano laboriosi, cantavano la loro canzoncina prima ancora che i wafer la riempissero di banali briciole.
Poi, come purtroppo capita a tutti, sono cresciuta. I nani hanno iniziato ad essere declinati con le ballerine, in un mondo politico che poco sembrava aver a che fare con quello della fantasia. Come Biancaneve, anche le ballerine hanno preso il sopravvento sui nani.
A forza di declinare nani e ballerine, ballerine e nani, i nani si sono moltiplicati. Sono tra noi. Sono ovunque. Hanno le facce di chi spintona la vita, di chi è abituato a sopraffare gli altri, di chi calpesta per prendersi un posto in prima fila, di chi conosce il rispetto nel senso più deleterio del termine, di chi non segue le regole perché tanto nessuno le segue. Hanno il volto di chi insegue e serve il potere, perfettamente descritto dal grande poeta reggino Nicola Giunta:
« Chistu è u paisi aundi si perdi tuttu,
aundi i fissa sunnu megghiu i tia,
u paisi i m’incrisciu e mi ‘ndi futtu
ed ogni cosa esti fissaria. »
[«Questo (Reggio Calabria, ndr) è il paese dove tutto si perde, dove i fessi sono meglio di te, il paese del "mi annoio" e "me ne frego" ed ogni cosa è (considerata) fesseria»]
Scriveva Giunta, in una delle più significative poesie dialettali sullo Stretto: Nani su’ iddi e vonnu a tutti nani [Sono nani, e vogliono che siano tutti nani].
Hanno vinto loro, per adesso. Hanno trasformato tutto e tutti in nani. Ma i nostri nani, gli unici che vogliamo, sono quelli dei fratelli Grimm. Gli altri possono farsi gentilmente da parte, grazie.
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