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Trama semiseriaNicole Kidman e Aaron Eckhart sono una coppia in apparenza come tante, sposati e quindi mediamente infelici e mediamente noiosi. Presto scopriamo però che dietro la loro apatia si nasconde in realtà un dramma: pochi mesi prima hanno infatti perso il loro unico figlioletto e cercano di tirare avanti come possono, andando ad esempio agli incontri per coppie come loro. Negli USA non ci sono infatti solo gli alcolisti anonimi, ma c’è praticamente un gruppo di sostegno per qualunque cosa. Soffrite di diarrea? C’è un gruppo. Vi piace cantare canzoncine sceme? C’è un gruppo (il Glee Club). Odiate Al Bano? Negli Stati Uniti c’è un gruppo (numerosissimo) persino per quello! E mentre Aaron Eckhart si fa le canne con la tipa asiatica di Grey’s Anatomy, la Kidman incontra il ragazzo che ha preso sotto loro figlio…
Recensione cannibaleLa perdita di un figlio è una delle tematiche più difficili da affrontare. È sempre un’impresa da equilibristi riuscire a utilizzare un tocco intimo e delicato e a non fare del facile sentimentalismo pietoso alla Studio Aperto/Maria de Filippi. Difficile quanto estrattare un ossicino dall’allegro chirurgo (qualcuno di voi c’è mai riuscito?). Un argomento da tv del dolore su cui è facile scivolare, ma che se affrontato con il giusto tatto può portare a risultati splendidi, e come esempio in tal senso non posso che citare il mio amato Amabili resti.
Il regista di questo Rabbit Hole è John Cameron Mitchell, uno che arriva dalla fantasiosa epopea glam di Hedwig – La diva con qualcosa in più e dal controverso (e quasi porno) Shortbus. Uno che insomma non ci si aspetta di trovare dietro un drammone in piena regola, decisamente classico sia per narrazione che per direzione e invece eccolo qui, talmente immedesimato nel ruolo del regista tradizionale che non si concede praticamente alcuna libertà.
La pellicola ha dei momenti drammatici molto intensi che difficilmente lasciano indifferenti, anche se per la maggior parte del tempo i toni sono piuttosto freddi, cosa che se da una parte evita quindi il rischio del pietismo, dall’altro non aiuta a empatizzare con i protagonisti. Nicole Kidman è come al solito bravissima, ma non riesce a coinvolgere/sconvolgere come parecchie altre volte nel suo passato a.B., avanti Botox (Da morire, Eyes Wide Shut, Moulin Rouge!, The Others e Dogville i suoi exploit che più mi hanno sconvolto) e anche Aaron Eckhart è mediamente bravo. L’impressione è che però il film non aggiunga al drammatico argomento niente di diverso rispetto ad altre pellicole simili (In the bedroom, La stanza del figlio), tra le tendenze adultere di Eckhart e il rapporto conflittuale della Kidman con la madre Dianne Wiest, che pure lei è passata attraverso la perdita di un figlio.
L’elemento di maggiore interesse e originalità è allora fornito dal personaggio di Jason (il promettente Miles Teller), il ragazzo che suo malgrado ha tirato sotto il figlio della coppia. Nicole Kidman è ossessionata da questo giovane, lo segue quando torna da scuola e gli si avvicina: no, tra loro non scatterà un’improbabile storia sessuale, però lei si interesserà a un fumetto scritto dal ragazzo e intitolato Rabbit Hole. Questa parte della vicenda avrebbe meritato un ulteriore approfondimento e allora sì che avremmo avuto una pellicola particolare e fantasiosa. Così è solo un film impeccabile quanto algido, peccato che dentro questa tana del coniglio si sarebbe potuto scavare molto più a fondo.(voto 6)
Personaggio cult: il giovane fumettista e involontario killer Jason (Miles Teller)Scena cult: un intenso dialogo tra Nicole Kidman e Dianne Wiest sul dolore per la perdita di un figlio
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