Questa piccola guida letteraria nasce prima di tutto in risposta ad un appello arrivato da Giacomo per “sostenere la Palestina, soprattutto la sua cultura, la sua letteratura” e a quanti nei giorni scorsi mi hanno scritto per avere un consiglio su libri che spiegassero cosa sta succedendo a Gaza in questi giorni e perchè.
“Penso, quindi esisto”, Naji al-Ali
Le notizie sui media e sui social network si rincorrono senza tregua in questi giorni in un vortice di parole e immagini che oltre a provocare orrore, dolore e sdegno proabilmente lasciano disorientato chi non segue con assiduità quello che succede in Palestina da troppi anni.
O chi non ha mai letto gli scrittori (romanzieri e poeti) palestinesi, che degli ultimi 66 anni di Nakba (la “catastrofe” del 1948, ovvero la nascita dello Stato di Israele) hanno scritto pagine intense e importanti che andrebbero lette, rilette, analizzate e fatte conoscere a tutti. E non solo perchè si tratta di bei libri ma perchè raccontano attraverso la voce dei protagonisti, i palestinesi, che cosa abbia significato il 1948, la perdita della terra, delle case, la vita come rifugiati perenni, la vita sotto l’occupante israeliano, le vessazioni e le privazioni e le continue occupazioni.
Ma sono anche libri pieni di ironia e bellezza, che ci parlano di come la vita in Palestina, nonostante tutto, vada avanti, di amori nati nei campi profughi, di perdite dolorose e nascite miracolose. Alcuni tornano indietro nel tempo a prima del 1948, altri fissano sulla carta un particolare evento o un anno della storia, altri ripercorrono i principali momenti di questi 66 anni di Nakba.
Avvertenze per il lettore: quello che segue non è un elenco esaustivo della letteratura palestinese contemporanea. Innanzitutto perchè non tutti gli autori palestinesi sono stati tradotti in italiano, e anche perchè gli autori di questo post collettivo non hanno letto tutti i libri tradotti.
A questo post è associato anche un evento Facebook per sensibilizzare e sostenere la cultura e la letteratura palestinese e invogliare a leggere gli autori palestinesi. Si chiama “La Palestina ci racconta: campagna di sensibilizzazione per la cultura e la letteratura palestinese” e chiede a quanti aderiscono di postare una foto di un libro di letteratura palestinese che avete letto e che vi è piaciuto, o che magari avete appena acquistato. Potete metterci la faccia oppure no, la scelta è vostra.
Gli autori delle micro-recensioni che seguono sono: Annamaria Bianco, Chiara Comito, Giacomo Longhi, Silvia Moresi, Pamela Murgia e Pamela Stella.
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Abulhawa, Susan: Ogni mattina a Jenin (Feltrinelli 2011, trad. dall’inglese di S. Rota Sperti)
Dagli anni ’40 ai giorni nostri, la storia della famiglia Abulheja, protagonista del romanzo, si snoda lungo gli ultimi tragici sessant’anni di storia della Palestina: dai racconti bucolici pieni di sole ed olive del villaggio di ‘Ain Hod, passando per la povertà del campo profughi di Jenin, attraverso la Pennsylvania e il Libano, la vita della giovane Amal (che in arabo significa speranza, declinato con la seconda alif lunga, perché fosse portatrice non di una sola speranza, ma di tante speranze) e della sua famiglia vengono cadenzate dall’autrice attraverso i più importanti avvenimenti che segnano la storia della Palestina, di Israele e del mondo arabo. Ogni mattina a Jenin è un romanzo toccante e commovente, scritto in inglese (l’autrice è palestinese ma vive e lavora negli Stati Uniti), è stato tradotto in più di venti lingue, arabo incluso. (CC)
Amiry, Suad: Sharon e mia suocera (Feltrinelli, 2003; trad. dall’inglese di M. Nadotti)
La prosa di Suad Amiry, architetto e intellettuale palestinese, non è forbita, né particolarmente elegante, ma nella sua semplicità e ironia ha un pregio: fa capire le cose con una leggerezza invidiabile, che quasi – nel leggere Sharon e mia suocera – non sembra di trovarsi all’interno di una Ramallah assediata dall’esercito israeliano. Perchè l’assedio militare è parallelo all’assedio famigliare che, come il primo, si è imposto a Suad Amiry, ma per tramite dell’insopportabile suocera.
Tuttavia, se è vero che si ride nel leggere le peripezie dell’autrice, c’è anche tanta amarezza. Ed è naturalmente inevitabile. (CC)
Barghouti, Mourid: Ho visto Ramallah (Ilisso, 2005; trad. dall’arabo di M. Ruocco)
Definito da Edward Said come “uno dei più raffinati resoconti esistenziali della diaspora palestinese”, questo romanzo è l’intenso e toccante racconto del ritorno del poeta in Palestina, nel 1996, dopo anni di esilio. Oltre all’elegante prosa lirica, questa autobiografia ha come suo punto di forza la descrizione dettagliata di quel vortice di sensazioni che assalgono l’esule nel rientro in patria, una narrazione che non lascia indifferente il lettore e che, invece, crea una partecipazione emotiva. Il romanzo, che si può inserire nel filone della cosiddetta “memoria dello sradicamento” (dakirat al-iqtila‘), è contornato da una serie di flashback in cui l’autore descrive la sua vita in Palestina prima dell’esilio e quel sentimento di struggente nostalgia per la patria che è la ghurba, parola che non trova traduzione in altre lingue. Lettura essenziale, insomma, sia per la sua bellezza estetica sia per comprendere più a fondo la condizione di sradicamento esistenziale dei milioni di profughi palestinesi sparsi nel mondo. (SM)
Darwish, Mahmoud: Darwish. Una trilogia palestinese (Feltrinelli, 2014; trad. dall’arabo di E. Bartuli e R. Ciucani)
Mahmoud Darwish è stato il più grande poeta palestinese, arabo, contemporaneo. Definito da José Saramago come “il più grande poeta del mondo”, con i suoi versi bellissimi, che sono stati tradotti in molte lingue, ha cantato dell’amore e del dolore per la Palestina, della condizione d’esilio, del rapporto con l’Altro israeliano, del bisogno delle piccole cose che fanno normale una vita che normale, in Palestina, non è.
Leggere Darwish, che sia prosa o poesia, come in questo libro che qui vi segnaliamo, è un atto d’amore: farlo conoscere al mondo è un dovere dell’anima. (CC)
Giabra, Ibrahim Giabra: I pozzi di Betlemme (Jouvence, 1997; trad. dall’arabo di W. Dahmash)
Prima del 1948, prima della Nakba, prima della fondazione dello Stato d’Israele, prima delle guerre, dei raid, dei check-point, del muro della vergogna, dell’UNRWA, dei morti, dei rifugiati, c’era la Palestina, la “terra più amata”. E c’erano i palestinesi, che si prendevano cura di quella terra.
La vita nella Palestina di quegli anni è raccontata in questo delicato romanzo con dolcezza e tenerezza dallo scrittore Giabra Ibrahim Giabra, che, originario di Betlemme, nel 1948 dovette lasciare la propria terra, a cui era stata rubata l’innocenza della fanciullezza, e rifugiarsi in Iraq. (CC)
Kanafani, Ghassan: Ritorno ad Haifa (Ed. Lavoro, 1991; trad. dall’arabo di I. Camera d’Afflitto)
Ritorno ad Haifa è un racconto struggente, una pietra miliare della letteratura palestinese moderna e contemporanea, e rappresenta la prima produzione letteraria ad offrire il punto di vista del nemico israeliano, raccontando anche la sua tragedia. La trama è di una semplicità e linearità disarmante, così come la prosa di Kanafani: una coppia di palestinesi ritorna ad Haifa dopo vent’anni d’esilio e scopre che il figlio perduto nella fuga del ’48, Khaldun, è stato cresciuto da una famiglia di ebrei di Varsavia sopravvissuta all’olocausto ed è diventato a tutti gli effetti uno di loro; un soldato che combatte gli arabi, fomentato ancor di più dal rancore nei confronti di quei genitori che l’hanno abbandonato, seppur involontariamente. Un racconto che attinge la propria bellezza dalla forza del dialogo e alla fine del quale non resta nell’animo che una profonda amarezza; quella di non essere altro che vittime di una storia più grande di noi. (AB)
Khalifa, Sahar: La porta della piazza (Jouvence, 1994; trad. dall’arabo di Piera Redaelli)
La porta della piazza, un romanzo dalla forte carica di verità anticonformista – come scritto da Piera Redaelli nelle sua postfazione – è uno spaccato della vita quotidiana nei Territori Occupati durante gli anni dell’intifada, l’insurrezione palestinese scoppiata nel dicembre 1987. Una lettura consigliata a chi vuole approfondire le dinamiche sociali e soprattutto la condizione delle donne palestinesi, vere protagoniste del romanzo, insieme ai loro bisogni, ai loro pensieri, alle loro opinioni. Partecipando alla “rivolta delle pietre”, migliaia di donne diventano visibili per la prima volta nella storia palestinese. Tuttavia la lotta contro l’occupante non garantisce una reale emancipazione delle donne che, nonostante le libertà conquistate e le spinte progressiste degli anni dell’intifada, continueranno ad essere rappresentate e dominate dagli uomini all’interno di una società tradizionalista e patriarcale. (PS)
Khoury, Elias: La porta del sole (Feltrinelli, 2014; trad. dall’arabo di E. Bartuli)
La porta del sole è una storia d’amore, quella tra Younis e Nahila, che attraversa la storia della Palestina, dalla Nakba fino agli anni novanta. È un libro speciale perché è stato scritto dai palestinesi. Non c’è una riga del romanzo in cui non vibri la loro voce. Infatti, in calce all’edizione araba, Elias Khoury dice: “non sarebbe stato possibile scriverlo se le decine di donne e uomini dei campi profughi di Burj al-Barajneh, Mar Elias e ‘Ain al-Helweh non mi avessero aperto le porte delle loro storie, accompagnandomi in un viaggio tra i loro ricordi e i loro sogni”. Nel gennaio 2013, il titolo del libro ha ispirato il nome del villaggio di Bab al-Shams, fondato sulle colline di Gerusalemme da un gruppo di attivisti palestinesi per protestare pacificamente contro l’occupazione. (GL)
Nasrallah, Ibrahim: Dentro la notte (Illisso, 2004; trad. dall’arabo di W. Dahmash)
Ibrahim Nasrallah nasce rifugiato, nel 1954, in un campo profughi di Amman. Poeta, romanziere, professore, pittore e fotografo, ha già alle spalle una vastissima produzione letteraria, che se da un lato gli ha valso ben 8 premi, dall’altro, è stata anche causa della persecuzione politica governativa. Nelle pagine di questa saga palestinese (tremendamente attuale), che si apre con una malinconica citazione di Fairouz, la narrazione si svolge infatti al buio, scandita da due voci, “io” e “l’altro”, che si alternano e sovrappongono con un incedere drammatico. La cronologia si intreccia e si spezza continuamente, secondo le regole della letteratura dell’assurdo del novecento e l’illogicità di quanto continua ancora oggi ad accadere in Palestina. Un libro crudo, doloroso, che permette di comprendere alla perfezione cosa significhi vivere sotto costante assedio. (AB)
Shibli, Adania: Sensi (Argo, 2007; trad. dall’arabo di M. Ruocco)
Nella prosa essenziale, forse minimalista, di Adania Shibli, la Palestina è un disegno abbozzato, uno schizzo fatto di tanti piccoli tasselli disseminati lungo il racconto che alla fine si ricompongono e permettono al lettore di ricostruire la storia narrata. Ne emerge un quadro di vita fatta delle piccole cose della quotidianità: le liti tra le sorelle, un padre assente, una madre austera, la maestra della scuola, il bel vicino dagli occhi verdissimi, l’amore immaginato. Ma anche: l’impossibilità di continuare gli studi, un matrimonio precoce, una terra scarna e crudele, i lamenti funebri delle donne al funerale del fratello morto. In meno di 100 pagine l’autrice riesce a comunicarci l’essenziale e a trasportarci con l’immaginazione all’interno della vita sospesa e ferma di un villaggio che assurge a paradigma della Palestina contemporanea. Forse quello descritto da Adania Shibli è un villaggio che non è mai esistito in Palestina. O che non esiste più, distrutto dai carri armati e dalle ruspe israeliani. (CC)
Shukair, Mahmoud: Mia cugina Condoleezza e altri racconti (Edizioni Q, 2013; a cura di M. Ammar)
L’universo di Shukair si sviluppa intorno all’ hay, il quartiere, e ai suoi abitanti. E’ fin troppo facile lasciarsi coinvolgere da questi personaggi, tipi umani che possiamo identificare anche nei nostri, di quartieri: c’è il fanatico di calcio, il padre preoccupato dell’onore della figlia, e l’ossequioso di turno con chi è più potente di lui. Sono ossessionati dai protagonisti del gossip, del calcio e della politica. Quasi in ogni racconto c’è un personaggio famoso che scatena una serie di eventi improbabili e comici, sia perché visita il quartiere (Rumsfeld e Stallone) o anche solo perché viene nominato (in difesa della figlia, un padre raccoglie parenti e armi perché è stata paragonata a Naomi Campbell!).
L’innovazione di Shukair sta proprio nel non rendere il dramma dell’occupazione un protagonista della narrazione ma di inserirlo quasi accidentalmente. Tramite questo efficace espediente, percepiamo l’occupazione come una presenza costante nella vita quotidiana dei personaggi, che devono farci i conti anche quando presi dalle passioni più futili e dalle ossessioni più assurde. (PM)