Inauguriamo con Qualcosa di simile (Italic Editore) di Francesca Scotti questa rubrica dedicata alle raccolte di racconti, idealmente iniziata con le tre recensioni ai finalisti del Premio Chiara – del resto anche l’opera della Scotti ha vinto un concorso dedicato alle narrazioni brevi: il Premio Fucini.
Si tratta di dieci racconti curiosamente contrassegnati da un numero e non da un titolo; ad accomunarli è l’atmosfera di inquieta sospensione, ma anche il genio creativo dell’autrice (o il destino, chissà) che fa incrociare i personaggi di brani diversi, intersecare situazioni e angosce. Qualcosa di simile è una composizione di segmenti narrativi, non sempre con un inizio e una fine, nella tradizione dei minimalisti americani e di certa letteratura orientale, si pensi a Prima neve sul Fuji di Kawabata (alcuni racconti della Scotti hanno oltretutto più di un legame con il Paese del Sol Levante): sembra che l’autrice voglia sciogliere la vertigine dell’animo umano attraverso subitanee e provvisorie epifanie («Non era la prima volta che la dimettevano, ma in quell’occasione sentiva che si stava davvero lasciando qualcosa alle spalle») o cristallizzarla in irrisolti interrogativi («Tutto si stava rimescolando e realtà, incubi, suggestioni erano indistinguibili»).
Frequenti i temi del rapporto ossessivo con il cibo e con le proprie doti (soprattutto quella musicale – la Scotti del resto è violoncellista), della precarietà dei rapporti affettivi e di sangue: amiche in campeggio che scoprono la distanza che vibra tra di loro; ragazze che cercano di sottrarsi alla tutela oppressiva delle proprie madri, salvo poi smarrirsi; artisti disillusi che si riscoprono dotati di talento, ma privi di passione, e viceversa. Ma non saranno le trame a suggestionare il lettore, bensì la tensione costante e la capacità introspettiva che caratterizzano tutti i racconti.
Francesca, come mai assegnare un numero e non un titolo ai singoli testi? È stata una scelta tua o dello staff editoriale?
Lo staff editoriale, inizialmente un po’ perplesso, ha poi accolto positivamente la mia proposta. Trattandosi di storie collegate da suggestioni comuni, echi, risonanze ho ritenuto che numerarli invece che dar loro un titolo più evocativo potesse giovare alla loro consequenzialità. Qualcosa di simile è una raccolta di racconti ma è anche una costellazione di avventure, diverse per stile, ambientazioni e personaggi ed è stato importante per me poter suggerire al lettore questo elemento.
Con quale criterio si intersecano vicende e personaggi dei diversi racconti? È stata una scelta premeditata o le corrispondenze sono emerse durante la scrittura?
Pur essendo storie differenti, che si dispiegano in luoghi molto distanti e tra persone che apparentemente non hanno contatti, ho notato sin dall'inizio che qualcosa le legava. Come credo si leghino le storie e le vite di ciascuno di noi. Ho scritto nel tentativo di far emergere questi aspetti, renderli riconoscibili o almeno percettibili. I leitmotiv serpeggiano ed è stato interessante tesserli fra le trame delle diverse vicende ma in questa operazione non c'è stato nulla di artificiale: è come se avessi lavorato solo per portarli alla luce.
In relazioni ai temi più frequenti in Qualcosa di simile, cosa ha tramutato nei tuoi personaggi il rapporto con il cibo in ossessione e cosa i legami affettivi in vincoli?
Fotografare i personaggi nel momento in cui si rapportano con il cibo mi è stato utile per poter raccontare qualcosa di più di loro. Credo che dalla relazione che ciascuno ha con l’alimentazione, con alcuni cibi, o dal suo modo di mangiare, possano emergere dati caratteriali interessanti, passioni e nevrosi. Il cibo per me può essere veicolo di messaggi importanti, amore affetto. Ma anche trascuratezza.
Per quanto riguarda i legami affettivi direi che la mia idea si può un po’ riassumere in una affermazione che compare anche in un racconto: la distanza (o prossimità) che può essere giusta per una persona non è detto che lo sia anche per l’altra. Mi interessano le dinamiche che portano a uno sbilanciamento dei rapporti e anche quelle che vanno messe in atto per farli tornare in equilibrio.
Due considerazioni sulla musica e due sull’Oriente…
Per me la scrittura è arrivata come tappa di un percorso cominciato con il pianoforte e proseguito con l'oboe in conservatorio e il violoncello. L'obiettivo non del tutto consapevole è sempre stato lo stesso: cercare un mezzo espressivo, la mia voce. Per me la musica è sempre stato questo ma probabilmente non sono mai arrivata in fondo. Anche se tutt’ora è per me una componente essenziale della mia quotidianità, sia come pratica sia come ascolto.
L’Oriente è il luogo dove ora mi trovo, quello che sto imparando a chiamare casa. Al momento posso dire che i suoi contrasti mi coinvolgono profondamente, che sono costantemente affamata di nuove immagini. E che questa terra non mi lascia affatto digiuna!
Una raccolta di racconti che ti senti di consigliare ai lettori di Sul Romanzo?
Volentieri! Vorrei potertene suggerire due, per due diverse categorie:
Italiani: Vincenzo Pardini, Il falco d’oro.
Stranieri: Mavis Gallant, Al di là del ponte e altri racconti.
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