Sulla quarta di copertina (e anche sulla fascetta) si annunciano storie «facili da leggere ed estremamente divertenti», citando dal Washington Post, ma chi ha letto con ammirazione Mattatoio n. 5 da Vonnegut si aspetterebbe, più che la facilità di lettura, una sfida arguta e parodistica; ecco allora che Dave Eggers corregge il tiro nella Prefazione e, pur accennando alla diversità di questi racconti rispetto alla produzione matura, parla di «trappole per topi». In realtà, a Baci da 100 dollari (ISBN Edizioni, traduzione di Francesco Pacifico) bisogna accostarsi lasciando da parte il visionario Kurt Vonnegut delle opere più celebri e aspettandosi dei racconti nient’affatto banali ma tradizionali, e non per questo meno affascinanti: tra le righe c’è tutta l’America di metà ’900 corrosa da ambizioni, consumismo e imperio dell’immagine.
Proprio sull’ossessione per l’apparenza si incentra il testo che dà il titolo all’intera raccolta, Baci da 100 dollari appunto; il narratore ci riferisce di un collega disposto a tutto pur di avere i servigi delle conturbanti pin-up, al punto da invidiare stoltamente uno sciagurato che ha avuto per moglie una donna tanto attraente quanto cinica e indisponente. Il sottofondo è il medesimo anche nel bel brano di apertura, Jenny; l’unico, forse insieme a L’epizootica, in parte ascrivibile al genere con cui Vonnegut ha esordito come romanziere: la fantascienza. Jenny non è che un frigo-robot telecomandato dalle sembianze femminili, creato dal geniale George Castrow a immagine della sua giovane moglie, ma senza quel «groviglio miracoloso, unico e mutevole di colpe e virtù» che caratterizza gli umani, in tutta la loro imperfezione.
Come opportunamente rileva Eggers, una forte dimensione morale contraddistingue anche queste prime prove narrative di Vonnegut, ma qui il suo è ancora lo sguardo «di un giovane che comincia a capire come funziona il mondo»; anche se ha già sperimentato gli orrori della guerra, non li ha ancora metabolizzati e i personaggi di questi racconti condividono con lui problemi ben più prosaici, come le difficoltà della vita coniugale e la necessità di trovare lavoro. In Diecimila dollari l’anno sicuri protagonista è un aspirante tenore che per sopravvivere decide di rilevare uno smercio di ciambelle e, senza volerlo ammettere, inizia a prendere gusto per il nuovo impiego e per le strategie di marketing; certo nel suo caso è una fortuna, poiché privo di talento pur essendo figlio d’arte, ma in molti sottoscriverebbero le sue parole: «La gente che vende viti e bulloni e locomotive e succo di frutta surgelato fa i miliardi, mentre chi si spende per portare un po’ di bellezza nel mondo, per dare significato alla vita, invece, fa la fame». Ancora sul tema dell’arte e sulla difficoltà di renderla economicamente sostenibile è Gli imbroglioni, che vede contrapporsi, su istigazione delle rispettive mogli, un pittore realista e uno astratto.
L’ironia, che diventa a tratti davvero spassosa, è la tinta prevalente di quasi tutti i racconti e in particolare di Mentre i mortali dormono, dove un cinico è alle prese con una gara di luminarie natalizie, e Bomar, in cui due colleghi creano un personaggio leggendario per scherzare tra loro e gabbare l’anziana segretaria, ma finendo per essere a loro volta beffati. Chiudiamo questa parziale carrellata con La riserva delle ragazze e Ruth, che non brillano forse per inventiva ma sono tra i più accattivanti e compiuti sul versante narrativo: entrambi hanno per protagoniste due donne, di cui una giovane e l’altra anziana, ostili e diffidenti sino all’agnizione finale.
Quello di Baci da 100 dollari è insomma un Vonnegut inedito da più prospettive che dimostra mestiere e annuncia già il suo talento creativo, umorale e umoristico (anche nel tratto delle formidabili illustrazioni d’autore che corredano l’opera).
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