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Raccontami una storia. Propedeutica dell'Unità. /3

Creato il 15 novembre 2011 da Frankie71 @FraMoriconi
si dà il caso che già a partire dal 1862 correnti antiparlamentariste diventassero sempre più potenti sia nella politica che nell’opinione pubblica. A metà degli anni ’70 dell’Ottocento Guerrazzi scriveva del Parlamento: simbolo della meschinità e dell’affarismo di quell’Italia postrisorgimentale, in cui si è consumato fino in fondo il tradimento di quelle potenzialità democratiche e popolari per le quali si era tanto lottato. Ed era una voce tra le tantissime. Dagli addetti ai lavori ai giornalisti, dai narratori agli sceneggiatori teatrali era un pullulare di tesi, saggi, satire, invettive contro il parlamento. In questo contesto, oltre alla comune critica dell’Italiano, individualista e senza disciplina, si raggiungevano picchi di antidemocrazia mascherata per interesse della nazione. Ad esempio Gaetano Mosca in (Teorica dei governi e governo parlamentare, 1884): Chiunque abbia assistito ad una elezione sa benissimo che non sono gli elettori che eleggono il deputato, ma ordinariamente è il deputato che si fa eleggere dagli elettori: se questa dizione non piacesse, potremmo surrogarla con l’altra che sono i suoi amici che lo fanno eleggere. Ad ogni modo questo è sicuro che una candidatura è sempre l’opera di un gruppo di persone riunite per un intento comune, di una minoranza organizzata che, come sempre, fatalmente e necessariamente s’impone alla maggioranza disorganizzata. Dunque coloro che “si fanno scegliere” dagli elettori non erano i migliori, i più saggi ma i più spregiudicati ed immorali. A me questo tratto ricorda qualcosa. Qualcosa che ci trasciniamo dall’Unità al 2011. Concludeva Mosca in maniera inquietante: Che possa e debba durare lungamente il regime parlamentare puro quale l’abbiamo ora in Italia, qual è in Francia e in qualche altro paese, che esso possa quindi divenire una forma di governo stabile e normale, noi non crediamo in nessun modo probabile. Echi dello stesso tenore in Ruggero Bonghi e persino Cesare Lombroso per il quale il parlamento “eccita al delitto”. Profetico.
La rappresentanza produceva, secondo i più (anche se non per tutti), effetti negativi (siamo al tempo degli scandali bancari e della corruzione manifestatasi dilagante e capillare) senza possibilità di rimedio. Ad ogni modo i critici più autorevoli del parlamentarismo erano di parte liberale. Si possono spiegare le radici di questo fenomeno ma non è qui il caso. Il dato è che c’era il fenomeno.
A fine Ottocento per riepilogare, abbiamo forte autorità centrale con ingerenza nelle amministrazioni periferiche senza poteri di controllo, limiti alla libertà di stampa e di associazione, necessità di espansioni coloniali, liberalprotezionismo, apertura a uomo di genio, negazione del concetto di classe, incivilimento e antiparlamentarismo galoppante. Non sono prodromi? Vabbè, non sono nemmeno provvedimenti anti dittatura. O no?
Nel 1897 è Sidney Sonnino a teorizzare (Torniamo allo Statuto) la necessità di restituire al Principe, uomo sopra le parti, simbolo di unità, un’autorità sovraparlamentare che mantenga alta e inamovibile l’attenzione sull’interesse generale dello stato oltre ogni steccato di particolarismi partitici, individualistici, settoriali (e ridagli, cioè, con l’uomo di genio).
Il pensiero di Sonnino  si rafforzava anche per via della crescente affermazione (ritenuta esiziale) del Partito Socialista e di gruppi di questa estrazione che, pur divisi da differenze apparentemente incolmabili, erano tutti uniti nell’avversità alle istituzioni politiche e socio economiche dello Stato unitario. In mezzo la Chiesa, ostile allo Stato liberale e all’avanzata di socialisti e comunisti. Alle opposizioni cattoliche o repubblicane (il pericolo nero a quei tempi erano loro) e a socialisti e comunisti (il pericolo rosso) non si rispose con la costituzione di un partito liberale. Lasciando un vuoto che… provate a indovinare chi ci si è buttato a volo d’angelo?
(continua)

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