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Raccontare l’amore

Creato il 16 marzo 2014 da Scribacchina

Che liberazione quella mattina! Nel mio interno una sorgente di luce aveva, con un unico fascio di raggi, dispersa la nebbia accumulatavisi da lunghi mesi. Anche fuori splendeva la luce.
Il sole spandeva trionfalmente i suoi raggi nella mia camera, una tiepida brezza increspava il mare e s’udiva fin quassù il giovine, gaio mormorio dell’onde. Sull’Isola dilagava la gloriosa primavera, mostrandomi dovunque fiori sconosciuti. Io non sapevo se lo stordimento di cui ero invaso dipendesse dal profumo molteplice dei fiori filtrato nel magico lambicco dell’aria o se provenisse dal mio intimo, dagli agitati sentimenti dell’anima. La notte era svanita, e mi pareva che non sarebbe mai più ritornata con le sue tenebre, con la sua inquietudine e i molesti presentimenti. Mi pareva, ora che avevo ritrovato Joan, quella che m’aveva cercato, d’aver dimenticato tutto ciò che m’era accaduto prima. Suoni lontani si libravano alti nell’aria: ardenti sussurrii, paroline sciocche, fanciullesche, dolci, grida soffocate, messaggi sonanti del piccolo beato infinito. Come tutto mi sembrava puro ora, semplice, leggero. Tale è il risveglio da un cattivo sogno alla bella realtà: tale dev’essere la bella resurrezione.
Ero uscito sul terrazzino. Dieci passi mi separavano da lei e la porta della sua camera era aperta.
Volevo andare da lei. E se mi vedessero? E mi vedessero pure! Di chi avevo da preoccuparmi? Degli ospiti o di Carlo o… Di nessuno!
Ed ero già davanti all’uscio: Joan vestita di bianco stava seduta sul letto. Come mi vide balzò su e corse da me.

- Oh, sei qui, cuor mio?
- Cuor mio, bambina!
- T’aspettavo. Ero curiosa di vedere se saresti venuto da me.
L’abbracciai, me la strinsi al petto. Il suo sguardo incominciò a intorbidirsi, le si accelerò il respiro, le sue mani puntate sul mio petto tremavano.

(da «Incontrarsi e dirsi addio» di Ferenç Körmendi, traduzione dall’ungherese di Silvino Gigante – anno 1938)

Flesh and the Devil (1926)

Alex: “Sono 21 giorni, 8 ore, 16 minuti e 24 secondi che ti aspetto!”
Niki: “E allora? Io sono più di 18 anni, e mica mi sono mai lamentata!”

Tony Costa: “L’amore è come un fulmine, non si sa dove cade finché non è caduto”

Alex: “Niki, non può andare ci sono troppi anni di differenza”
Niki: “Sono solo 20…comunque anche molti attori hanno una grande differenza di età”

Pietro: “Ma, magari è anche più bello a 40 anni, c’è più esperienza”
Olly: “Ma chi ci pensa ai 40 anni? La vita per me è adesso!”
Pietro: “Ammazza ma che sei, la figlia de Claudio Baglioni?”

(da «Scusa ma ti chiamo amore», film di Federico Moccia tratto dall’omonimo romanzo di Moccia – anno 2008)

***

Premesso che oggi, marzo 2014, dubito fortemente di trovare qualcuno capace di dire un raffinatissimo «Cuor mio, bambina!» ad una donna.
Premesso che Federico Moccia sta alla poesia come un mio piedino sta ad una scarpetta Cenerentola style (devo averlo già scritto da qualche parte: porto un numero imprecisato tra il 40 e il 41).

Ebbene, comincio a spiegarmi perché ho la fissa dei romanzi d’amore d’antan in versione d’epoca.

Mamma, te possino… perché mi hai fatta nascere negli anni Settanta?


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