Raccontare Piombino

Creato il 14 settembre 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

una recensione di Gordiano Lupi. Undici autori per raccontare una città, anzi dodici, perché gli splendidi scatti di Andrea Frediani immortalano Piombino in tutta la sua bellezza. Umberto Bartoli, Valentina Della Lena, Paolo Ferrari, Alessandro Fulcheris, Emilio Guardavilla, Federico Guerri, Gordiano Lupi, David Marsili, Marco Miele, Simone Pazzaglia e Paolo Silvestri sono i narratori chiamati all’opera. La città è la vera protagonista, in un libro che non vuol essere celebrativo, né agiografico, ma soltanto un atto d’amore compiuto da un gruppo di scrittori che vivono un rapporto stretto con il litorale tirrenico. L’azione degli undici racconti si svolge nei luoghi simbolo della città: Porto, Marina, Salivoli, Pinetina, Città Vecchia, Populonia, Baratti, Centro Storico… Un biglietto da visita per un luogo dell’anima in rapido divenire, dalla monocultura dell’acciaio alla diversificazione turistica.

Prefazione in forma di racconto

Tornando da Milano rivaluto la mia bistrattata Piombino, piccola città di mare abbandonata tra sentore d’acciaio e profumo di scogliere. Percorro senza sosta vecchie strade, alla ricerca del mare, quel mare che tanto mi manca nella distanza e che do per scontato quando lo trovo a portata di mano, d’olfatto, di vista. Rivedo angoli di tetti sporgenti tra scogliere, cadenti ricordi d’archeologia industriale, pinete che protendono rami nel cielo, braccia ritorte piangendo preghiere. Sogno un bambino che corre tra prati d’illusione, memoria del passato che si fa ricordo, mentre intorno fiorisce una labile primavera. Penso che fino a ieri tutto era neve e dolore, ghiaccio e disperazione, freddo e timore. Scorgo il volo d’un gabbiano. Mi è capitato d’odiare la sua altera presenza, ma adesso mi reca un senso di pace, mi conforta vederlo, mi basta quel profilo imponente sul tetto d’una casa di mare, ché solo a Piombino ho visto condomini sulle scogliere, unica città al mondo edificata a misura d’operaio. Rivedo lo chalet sul mare, il bar nella piazza ai caduti, dove al mattino giardinieri svogliati compongono la scritta Salivoli con piante grasse. È il bar dove ho bevuto l’ultimo caffè con mio padre, prima che se ne andasse, il bar dove ogni tanto lo rivedo sorridente davanti alla tazzina di caffè. E poi dicono che non esistono i fantasmi. Non vi fate ingannare. Certo che esistono, invece. Sono dentro di noi, accompagnano una vita raminga, provvisoria, sono la nostra guida, per noi che non siamo Dante ma non possiamo restare orfani di Virgilio. Il vento di scirocco mi penetra i sensi impregnato di salmastro. D’un tratto comprendo l’angoscia di Cabrera Infante, le ultime ore in un letto d’ospedale, lontano dalla sua terra, al termine d’un esilio che supera i confini della vita. Povero Guillermo, che quando scriveva di cinema si faceva chiamare Caín, quanta tristezza morire a Londra sognando il lungomare dell’Avana, i ragazzini bagnati dagli schizzi dell’oceano, i venditori di rum, i froci, le puttane, le case cadenti, i cabaret sulle scogliere, gli alberghi di undici piani che scoprono un cielo stellato. Quanta tristezza.

Raccontare Piombino di AA.VV.

Pagine 150 – Euro 14

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