Vanno di moda gli hashtag. A ragione: permettono di creare dei temi. Di raccontare storie. Sono come un filo rosso che percorre il web, unisce persone magari lontanissime, crea affinità elettive. E’ la possibilità più emozionante che internet ci offre.
In tema di “creare connessioni”, ti segnalo una sfida lanciata dall’ottima Roberta Zanella: l’hashtag #blobtweeting. (approfondisci perchè è veramente interessante: raccontare storie unendo copy e visual nati da persone diverse, in momenti diversi e per obiettivi diversi. Per diventare interattivi ed essere nel web 3.0)
La mia sfida di storytelling personale nasce da una voglia di immagini, che sto esprimendo nel mio account Instagram
(sì, ti sto dicendo di seguirmi. Se vuoi :) E’ divertente) Ed è questo che voglio festeggiare in questo post: le mie prime 100 foto. Vabbè – dirai – c’è gente che si è data molto di più da fare. E’ vero. Ma adesso ti spiego il perchè del mio orgoglio.
Una storia è fatta da un racconto e una (o più) immagini
Quando eravamo bambini, i nostri nonni ci raccontavano storie. La tradizione del cantastorie è lunghissima e ne abbiamo già parlato come leggenda dello storytelling.
Ti ricordi come funzionava?
- C’era una volta. Il classico incipit. Ora non si usa più, se non per segnalare che stiamo entrando nel regno della fantasia e che vogliamo un po’ sognare. Da bambini ci faceva rimanere a bocca aperta. E adesso che siamo adulti ci manca.
- Il bello, il brutto e il cattivo. C’è sempre il classico personaggio virtuoso, kaloskaiagatos (come dicevano i Greci quando parlavano di Achille, bello e bravo – e a noi viene subito in mente Brad Pitt, chissà perchè.)
- Il tormento e l’estasi. La storia si sviluppa finchè i nodi vengono al pettine e il nostro protagonista (o i protagonisti) devono in qualche modo venirne fuori. Ma si ingegnano e alla fine
- E vissero per sempre felici e contenti. La classica chiusa. Rassicurante e positiva. Perchè il buono non muore mai e il cattivo viene sempre castigato. Catartico per sognare una realtà diversa.
E’ questo lo schema che seguiamo – a volte inconsciamente – per dire di noi o di altri. Ci hai mai fatto caso? Ascolta un bambino quando gioca con le bambole. Oppure la nonnina che va dal dottore e chiacchera con la vicina di sedia. La trama è quella lì.
Cento post per raccontare storie
Il mio centesimo post, pubblicato oggi, è questo
e – come vedi – l’ho intitolato freedom, libertà. Perchè per me essere liberi è andare a piedi scalzi, nel prato, sentire l’erba tagliata sulla pelle, l’odore del fieno, il sole che scalda … in città c’è solo cemento, strade chiuse. Nessuna libertà.
E lo smalto sulle unghie ti parla della voglia di essere donna, ma in modo leggero, per quel colore così acceso ed estivo … ogni dettaglio, quindi, rimanda ad una storia di freschezza, leggerezza, ma anche di legame con la terra, un legame femminile di madre-figlia.
Tante parole per una semplice foto. No?
E’ questo che vuol dire – per me – raccontare storie con le immagini. Ed è questo quello che faccio. Che cerco di fare. Che mi piace fare, con l’umiltà di mettermi in gioco e di imparare sempre di più. Di provare e riprovare. Di passare studiando e leggendo il tempo che molti spendono davanti alla tivvù.
Faccio tutto da sola: provo, studio, scatto, elaboro, photoshoppo, metto qualche filtro carino, aggiungo i famosi hashtag e mi butto.