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Faceva abbastanza freddo per starsene sotto le coperte senza tradire il benché minimo spasmo di calore. Era piacevole, soprattutto quando era così buio, con la serranda chiusa e la porta della cameretta serrata. Giovanna aveva finalmente accettato di togliere la lucina che lasciava accesa per tutta la notte, tutte le notti da quando aveva due anni. “Perché è ora di crescere..”, le aveva detto la mamma mentre sua sorella annuiva. Stupida, aveva pensato Giovanna, hai cinque anni più di me e non ti sei mai lamentata. Poi, come prova di forza, l’aveva presa dalla solita mensola e messa nel cassetto della scrivania. Non troppo lontano, perché non si sa mai.
E in quel momento, nel letto, l’unica cosa che la proteggeva dai mostri era quella coperta, tirata su fino al naso. Venite mostri, venite. Finché sono qui sotto non potete farmi niente. Ma non era così facile addormentarsi senza quel punto di riferimento luminoso tra la porta e l’armadio. Non era facile per niente. Così Giovanna si girava e rigirava nel letto, piano piano, per non attirare l’attenzione dei mostri. Una volta ne aveva visto uno girare per casa. Un’ombra, più che altro, ma era la stessa cosa perché “i mostri vivono nell’ombra e dalle ombre vengono per portarti via con loro”, diceva sempre sua nonna. L’unica soluzione era non guardarli mai dritti negli occhi. Solo quando li guardi dritto negli occhi i mostri si accorgono di te. Non aveva nemmeno il coraggio di allungare la mano verso la sveglia luminosa sul comodino, per sapere che ore erano. Il giorno dopo doveva svegliarsi presto per andare a scuola e solo chi fa la terza elementare può sapere quanto sia importante andarci ben riposati. Doveva costringersi a dormire, ma dall’armadio le sembrava di sentire strani rumori, come il rantolo di un gatto in amore o qualcosa che muoveva le grucce messe una dietro l’altra, in ordine, con i vestiti appesi. Sua sorella dormiva già. La sentiva respirare regolarmente. Lei non ne aveva, in fondo, di questi problemi. Molte volte aveva desiderato essere come lei. E se non come lei almeno grande quanto lei. “Ma un giorno crescerò e non mi farà più paura niente. Proteggerò anche mamma e papà, che già sono vecchi. Un giorno diventerò grande”.
Ma non era ancora così vicino, quel giorno. E allora Giovanna contava le pecore. Contava gli agnelli. Contava le mucche e qualsiasi altro tipo di animale per provare a finirla lì. La mattina dopo si sarebbe svegliata e avrebbe avuto la conferma che non poteva succedere niente di male, di notte, nella sua stanza. Che quello era un posto sicuro e che i mostri sapevano stare al posto loro. Ed era lì lì per coronare quel sogno di riposo, Giovanna, quando un nuovo rumore proveniente dall’armadio la scosse dal dormiveglia. “Fede, Fede. Sei sveglia?”, disse a bassa voce. Nessuna risposta dall’altro letto. “Fede, svegliati, ti prego!”, questa volta a voce un po’ più alta. “Mmmmh. Eh? Che c’è? Che è successo?” “C’è qualcosa nell’armadio, non riesco a dormire!” “Non c’è niente nell’armadio, stupida. Solo i vestiti. Dormi!” “Ma c’è qualcosa, io l’ho sentita…” “Ti ho detto che non c’è niente. Stavo dormendo. Scema” “Ma io ho paura…” “Sei sotto le coperte, sei al sicuro!” “No, non è vero!” La sorella di Giovanna si scosse. Rumori di coperte che venivano fatte da parte. Rumori di piedi nudi che cercavano le pantofole. “Che fai? No, Fede, non andare, chiama mamma e papà” “Mamma e papà si incazzano se li disturbiamo per queste cose. E si incazzano con me” Federica, ormai in piedi, fece luce con il display del cellulare e si avvicinò all’armadio. Lo aprì, illuminò il suo interno scostando i vestiti con la mano libera. “Lo vedi che non c’è niente?”, disse girandosi verso Giovanna. “E’ vero, non c’è niente” “E allora dormi” “Ma io ho paura lo stesso” “Metti la lucina” “No!” “E allora dormi. Oppure stai zitta”, disse Federica rimettendosi a letto.
Era tornato tutto buio. Fede aveva ripreso a respirare piano e regolarmente. Giovanna si era voltata verso il muro ma poi, nervosa, si era rigirata per non essere presa alle spalle mentre non guardava. Aveva aperto gli occhi, li aveva richiusi, poi li aveva aperti ancora. Nell’oscurità fuori fuoco le era sembrato di vedere qualcosa muoversi. Poi il suo letto aveva tremato un po’. “Fede? Fede, aiuto!” “Eh” “Aiutami, ti prego…” “Cosa c’è ancora!?” “C’è qualcosa sotto il letto” “Dormi!” “No!” “E allora controlla, non c’è niente” Giovanna restò lì a pensarci ma non ne aveva nessuna voglia. Non aveva voglia nemmeno di starsene lì, tutta rannicchiata a tremare come una foglia, però. Giovanna ci pensò ancora un po’ su, poi decise che non era più così piccola, non era più una bambina. Non dopo aver messo la lucina da parte e aver accettato il buio per tutte le ore della notte. E allora si scosse, tirò fuori il collo da sotto le coperte, poi il busto. Si sporse verso il bordo del materasso, si fermò un attimo, poi andò oltre. Si abbassò piano, lenta, deglutì forte, poi arrivò al bordo, sempre più lenta. Infine guardò. Era vero, non c’era nessuno, non c’era “nulla”. Quasi le venne da ridere: era fuori dalle coperte ma non era successo niente, nessuno l’aveva presa. E stava per risalire, quasi sorridendo, un po’ vergognandosi quando, prima dello slancio, il letto tremò ancora. Allora Giovanna si bloccò e due occhi gialli si aprirono di fronte a lei, enormi, venati di rosso. La guardarono, lei ricambiò lo sguardo. E mentre era lì per urlare, qualcosa afferrò Giovanna e la trascinò sotto, il letto come un’enorme bocca dentata, il buio la sua gola. Portandola via, inghiottendola e dilaniandola tra le nere ombre della casa. Nella stanza rimase solo Federica:
“Giovanna? Giovanna?”