La ragazza entra nell’ufficio postale. Magia: per la prima volta non c’è nessuno davanti a lei. La stanza deserta e placida.L’impiegata alza svogliatamente gli occhi, cerca di mettere a fuoco l’immagine della ragazza, lo fa tenendo quei suoi occhiali con la lente stretta e allungata proprio sulla punta del naso.
La ragazza la guarda, convinta che questa sia la sua unica occasione di “toccata e fuga” all’ufficio postale. L’impiegata volge lo sguardo prima agli incartamenti sulla sua scrivania, poi allo schermo del suo computer ed infine si rigira verso la ragazza: “Scusa, ma devi prendere il biglietto perché ti chiami”.
Una faccia disillusa è stata l’unica cosa che si è potuta permettere la ragazza che, tra l’incredulo e il “ma dai, ma facciamo sul serio?”, è andata a prendere il maledetto biglietto. Ufficio ancora deserto. La ragazza con il biglietto in mano che attendeva il “non si sa cosa”.
Dopo cinque minuti arriva il suo turno (e perché, il turno di chi doveva essere?). Sprezzante, la ragazza ritenta l’entusiasmo di non trascorrere ore in un ufficio postale, e così si presenta al bancone.
“Ma hai preso il biglietto con la lettera P” – “Sì, è per una raccomandata” – “Ah, va bene, ma per procedere con l’operazione in questa postazione devi prendere il biglietto con la lettera A”.Alienata, la ragazza prende il biglietto A cercando peraltro di sventrare la macchinetta. Si presenta al bancone con una palla di ticket e sogghignando dice all’impiegata “Ecco scelga lei quello che preferisce”.
Ebbene, per inviare una cazzutissima raccomandata, la ragazza ci ha messo venti minuti: perché dobbiamo prendere i biglietti per il turno anche se non c’è anima viva, perché dobbiamo prendere i biglietti con la lettera A e magari con i pois disegnati, perché qui si parla di semplificazione e invece si va verso la direzione opposta.
Qui si incolpa la globalizzazione e le multinazionali e i petrolieri. Ma quando devi prendere un biglietto per un turno che può essere solo tuo, allora significa che stiamo proprio alla frutta.