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Racconto breve: La sfida di Jörg

Da Criromano
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Andrea scorreva rapido il giornale come ogni mattina, quando fu colpito da una notizia: Jörg, figlio di un alpinista di fama mondiale, avrebbe scalato di lì a poco l’invincibile parete Nord dell’Eiger in solitaria, senza imbraghi e corde di sicurezza. Fino a quel momento nessuno aveva osato tanto.
Andrea conosceva Jörg e quando la redazione gli chiese di seguire l’ascensione partì subito per Grindelwald.
La notte precedente l’impresa, i due ragazzi sedevano in silenzio sotto il cielo limpido circondati dalle cime bianche delle Alpi Bernesi: in quell’atmosfera di quiete l’Orco non sembrava meritevole della sinistra fama di ghiacciaio assassino.
Andrea ruppe il silenzio, ‘l’Eiger è il sogno di tanti, ma perché in solitaria?’
‘Perché ti senti libero. Ti senti parte della parete, come ne fossi una naturale appendice e non hai paura. Scali sentendo solo il rumore del vento e dei tuoi battiti, pervaso da un senso di fiducia: nella roccia, nei piedi, nelle mani. E quando arrivi in cima provi un senso di calma infinita, appagamento, pienezza’.
‘Non c’è una componente di sfida?’
‘Sì, ma non con la natura: la montagna non è da sfidare e sconfiggere; va rispettata e approcciata con umiltà. L’errore di molti alpinisti è quello di non rendersene conto e questo genera tanti incidenti. L’uomo ha sempre avuto la cieca e ottusa presunzione di poter fare della natura ciò che vuole ma il rapporto così impostato è sbagliato: perderai sempre. Devi sapere quando fermarti, quando tornare indietro, quando rinunciare. Io amo scalare più di ogni altra cosa al mondo ma la vita non vale una montagna. La sfida è un’altra: è con te stesso, la tua umanità, le tue paure. Scalare ti aiuta a conoscerti, a misurare le tue capacità e a superare i tuoi limiti.’
‘Perché l’Eiger?’ chiese Andrea.
‘Perché lo sogno da sempre. L’ho scalato la prima volta due anni fa e la Via Heckmair mi è rimasta nel cuore: una via intensa, piena di vita, senti la roccia pulsare ad ogni movimento. Il passo dallo scalarla con le corde a volerla vivere in solitaria è stato breve. L’ho desiderato subito e non mi son tolto più quel pensiero dalla testa fino a qualche mese fa, quando ho sentito che quel momento era arrivato, che ero pronto. L’età giusta, la giusta preparazione fisica e mentale’.
‘E tuo padre cosa ne pensa?’
‘Alla stampa si è limitato a dire che ogni alpinista è responsabile delle proprie decisioni, ma abbiamo discusso: ha paura come ogni genitore, forse anche di più, ma so che in cuor suo mi capisce. E poi quella parete l'abbiamo scalata insieme, sa che ce la posso fare’.
Il mattino successivo il bianco delle cime riluceva nell’aria leggera. Arrivarono i primi giornalisti, le prime videocamere si accesero ad immortalare il paesaggio.
Jörg in breve fu pronto per la partenza, era calmo e concentrato. Lanciò all’amico giornalista uno sguardo carico di energia e fiducia; quella stessa fiducia di cui aveva parlato il giorno precedente.
Andrea si posizionò dove meglio poteva seguire l’ascensione.
Jörg attaccò dalla variante a destra del Primo Pilastro, procedendo veloce e sicuro per i primi corti gradini, le cenge, i canali e poi sempre più rapido verso l’alto.
Esitò sulle lisce placche del Traverso di Interstoisser, ma subito recuperò.
Saliva spedito con i soli ramponi e le piccozze. Era veloce, fluido, caparbio.
Superò veloce e senza incertezza i passaggi chiave: il Ferro da Stiro, il Bivacco della Morte, la suggestiva Traversata degli Dei, giungendo al temibile Ragno Bianco.
Erano tutti con il fiato sospeso: quel punto aveva visto morire i più abili alpinisti.
Jörg ne fu velocemente fuori superando il tratto più esposto, ma improvvisamente una scarica di sassi scese dall’alto sfiorandolo.
Andrea chiuse gli occhi, un silenzio di morte calò alla base del ghiacciaio e gli sembrò che il tempo si fermasse. Dopo interminabili istanti un urlo di gioia si levò nell’aria, Andrea riaccostò il viso al binocolo e vide Jörg in salvo; una minuscola cengia sopra di lui lo aveva protetto dall’impatto con le pietre più grandi.
Andrea sentiva il cuore pulsare con forza, i battiti accelerati dall’ansia e dall’adrenalina.
Jörg riprese senza ombra di esitazione la sua corsa sul ghiaccio, una piccozza avanti l’altra, dritto fino alla luminescente fessura di quarzo.
La parte più rischiosa era superata.
Jörg proseguiva ormai inarrestabile su per i Camini terminali, lungo l’affilata e instabile cresta di neve tra le pareti Nord e Nord Est.
Mancava pochissimo. Un piccolo errore sarebbe stato fatale, ma Andrea non voleva e non poteva pensare in negativo.
L’obiettivo era vicino, l’impazienza cresceva.
Jörg raggiunse il Nevaio Finale e poi la Mittellegigrat, affondando pericolosamente nei cumuli di neve fresca. La fatica stava prendendo il sopravvento, arrancò, cadde ma in un guizzo di energia fu di nuovo in piedi.
Andrea tratteneva il respiro.
Mancavano pochi metri, vide Jörg cadere ancora ma veloce rialzarsi e in un’ultima stremata corsa conquistare la vetta. Ce l’aveva fatta, era in cima!
Lo vide esultare con le braccia alzate.
Alla base del ghiacciaio si levò un urlo liberatorio ed un clima di festa e di gioia si diffuse tra la folla di giornalisti e curiosi.
Quando Jörg rientrò alla base era raggiante. Il padre, rimasto sino a quel momento in disparte, gli corse incontro e lo strinse orgoglioso.
Il giovane alpinista, con il suo approccio schivo e umile, aveva cambiato per sempre la fama di quel ghiacciaio: imponente, temibile, ma non più irraggiungibile.

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