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- Pubblicato Monday, 29 April 2013 10:03
- Scritto da Claudio Vergnani
Letteratura Horror ha l'onore di pubblicare un racconto breve dello scrittore Claudio Vergnani. Vergnani è autore di romanzi di buon successo di pubblico e critica, quali “I Vivi, i Morti e gli Altri”, “Il 18° vampiro”, “Il 36° giusto” e “L’ora più buia” ed è rubrichista del nostro portale con “I Vivi, i Morti, i Lettori”. Potete leggere il racconto oppure scaricarlo nei formati ePub e pdf.
QUALCUNO VOLEVA PARLARMI
Sono solo in casa; sto seduto senza pensare a nulla seduto sul bordo del letto nella penombra della mia stanza. Il tramonto filtra attraverso i vetri e colora di un rosso drammatico il muro e due quadri.
Non so per quanto tempo rimango così. Forse un’ora, forse di più. A tratti mi giungono dalla strada rumori smorzati, lontani, infiacchiti dalla distanza e dal mio torpore. A volte sono passi, a volte un’automobile, a volte anche una voce. Poi ritorna il silenzio.
Faccio per alzarmi; mi gela il suono del campanello. Un solo trillo, ma attraversa il buio e il silenzio della casa come qualcosa di serpigno.
Non aspetto nessuno.
Esco dalla camera e attraverso il corridoio. Al buio, mi fermo davanti al citofono. Rimango in attesa. Non provo né curiosità né fastidio, nemmeno indifferenza. Nulla.
Aspetto, pensando che si sia trattato di uno sbaglio. Aspetto ancora un poco. Poi, per scrupolo, per sicurezza, premo l’interruttore, dico: “Sì?”.
Ronzio di cavi elettrici, di elettricità statica. Un ronzio che mi pare venga da distanze incolmabili. Ripeto la domanda. Niente. Mi accingo a tornare in camera.
Il campanello suona nuovamente. Ancora un solo trillo. L’eco rimane a lungo sospesa nell’oscurità. Si indebolisce. Si spegne.
Sono di nuovo davanti al citofono; “Si?” insisto – la fronte appoggiata al muro, la bocca che sfiora l’apparecchio -, ma ancora nessuna risposta.
Vado alla finestra. Mi affaccio. La strada è deserta; davanti al portone non c’è nessuno. Suonano ancora. Dunque, forse c’è qualcuno sul pianerottolo. Ma allora perché non bussa?
Ritorno; esito un istante; spalanco la porta. Il pianerottolo è vuoto, silenzioso, desolato. Pare che nessuno sia mai stato lì.
Il campanello suona per la quarta volta. C’è qualcosa di nuovo, ora, in quell’oscurità. Non è più solo buio. E’ un’attesa sospesa, è l’isolamento completo in cui le cose tacciono in attesa di un evento.
Un altro trillo. Che attendevo. Mi avvicino piano al citofono; mi sorprendo a premere il pulsante con sorprendente delicatezza. “Chi è?” domando ancora. La voce non mi trema, non riesco a smettere di sentirmi tranquillo.
Qualcuno, infine, gracchia un’incomprensibile risposta. E’ un suono a mezza via tra la scarica di un’interferenza e l’ansimare di un animale.
Attendo con infinita pazienza: il tempo non mi interessa; è come se non mi riguardasse più.
La consapevolezza che qualcuno mi sta cercando mi colma a poco a poco.
Il citofono trasmette suoni faticosi, inarticolati, dietro i quali si indovinano uno sforzo penoso, tanta frustrazione, ma anche una rabbiosa determinazione.
Mi chino per meglio sentire. Mi giungono ora nuovi ronzii, ed un borbottio roco, che sale di tono, si fa più stridulo, più acuto.
Ad un certo momento mi sovviene che sia al massimo dello sforzo.
Ancora un sibilo, prolungato stavolta, infine un gemito gutturale, aspro; ostile si direbbe.
Il citofono è muto. Attendo. Attendo ancora un poco, scrutando nel buio, inutilmente. Dalla strada, con lentezza, mi giungono di nuovo i rumori di sempre. Ma ora qualcosa è cambiato. Rumore di passi attutiti per le scale. Lo immaginavo. La luce si spegne, di colpo. L’oscurità è vibrante.
Non ho intenzione di riaccendere la luce. Non ci provo nemmeno. Per vedere cosa? Che importanza può avere, ormai, il vedere, il capire?
Perché opporsi, alla fine? Il deserto ormai è attraversato, e ciò che c’era da vedere è stato visto. La lotta non è meno pretenziosa della rassegnazione.
Se ti cercano, in qualche modo, alla fine ti troveranno.
Claudio Vergnani
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